Dalla geografia facile, quella che si insegna nelle scuole ai bambini, sappiamo che trattasi del capoluogo della Tuscia, antica regione etrusca.
Che abbia il più vasto centro storico di origine medievale, per me, conta poco. A me interessa il passato etrusco, come potete facilmente immaginare, se avete letto qualcosa dei miei romanzi.
In questa città. ho infatti ambientato sia il romanzo UNA DONNA VESTITA DI BIANCO, che il romanzo citato nei post recenti BAGLIORI SUL BULICAME.
La storia cattedratica vi narrerà vere fantasie sulle origini antiche di questa città. Io, lo sapete, sono con Frate Annio, e soprattutto con Mario Signorelli che ritenevano essere l'attuale Viterbo, più o meno il fulcro del Fano di Voltumna, ovvero il centro della Federazione Etrusca.
Vedete, amici e lettori, Frate Annio e Signorelli Mario erano viterbesi. Mi sfugge il motivo per cui dovessero mentire sulla loro città. E mi sfugge il motivo per cui, ammesso che abbiano lavorato di fantasia in alcuni passaggi delle loro opere, chiunque, loro compresi, abbia scavato nei territori propri di Viterbo e nelle immediate vicinanze, abbia trovato solo conferme delle loro teorie.
Teorie che non piacciono agli eruditi moderni così come non piacevano ai cronisti al tempo dei Romani. Me ne faccio una ragione ma io ci credo, eccome.
Cominciamo da Fra Annio. Costui è ancora descritto come un erudito, nato a Viterbo nel 1437 e deceduto a Roma nel 1502. Fu un religioso, considerato eretico e falsario dal potere ai suoi tempi. E queste accuse, potevano portare molti guai. Eppure, sia Papa Sisto IV che Papa Alessandro VI, lo nominarono Maestro del Sacro Palazzo Apostolico, una carica molto importante all'interno dei rituali ecclesiastici.
Notevole è la sua opera principale: una raccolta in 17 volumi intitolata Antiquitatum Variarum, nota anche come Antichità di Annio. Ebbe un grandissimo successo editoriale. Nei secoli successivi, fu considerata non opera divulgativa ma opera di immaginazione, insomma una sorta di romanzo.
Praticamente, una riscrittura della cronologia biblica, tramite manoscritti risalenti agli annali di sacerdoti caldei ed egizi e commenti scritti da filosofi greci. In questo modo, Fra Annio, intendeva anche riscrivere parte della storia umana, discostandosi (peccato terribile anche ai giorni nostri) dalla storiografia greca.
Molti anni dopo la sua morte, però, quando non si poteva di certo difendere al meglio, il povero, grande, Fra Annio, fu accusato di aver falsificato i documenti a sostegno della sua creazione. Neanche alcune scoperte ottocentesche e degli inizi del '900, con il ritrovamento di tavolette sumere e molto materiale relativo a citazioni che Fra Annio attribuiva a Beroso (astronomo e astrologo babilonese, vissuto trecento anni prima di Cristo) sono servite a riabilitarlo.
Attenzione perché dato che intendo presto riportare alla vostra, pregiata consapevolezza, l'opera, questa sì, terribilmente dannosa di falsificazione storica ancora in atto, il caso Fra Annio è veramente importante anche in quest'ottica. Diciamo che chiunque lo screditava e lo scredita ancora, dovrebbe farsi un grandissimo ed eccezionale esame di coscienza.
Lo affermo dal mio minuscolo pulpito di libero pensatore, assolutamente non laureato e felicemente ignorante di ignorare le balle del Sistema. Mi rifiuto di laurearmi secondo quel che ordina il Regime in atto. Un regime soprattutto che colpisce le menti ancor prima che le anime. Se lo tengano il loro sapere velenoso e fuorviante! Fine dell'invettiva di giornata.
Ecco che vengo a parlarvi di quel che il buon Fra Annio sosteneva del popolo etrusco. Pensava che Noè fosse sumero e che, percorsa l'Armenia e superato il Monte Ararat, arrivò in Italia, un secolo prima dell'evento registrato come Diluvio Universale, collaborando a fondare la civiltà etrusca (dunque autoctona secondo questa ricostruzione) diffondendo l'arte della vinificazione, dell'idraulica, della metallurgia e dell'architettura.
Dalla nascita dell'Etruria, quindi, i suoi figli sarebbero partiti per fondare le civiltà in Egitto, in india, in Babilonia e in Europa stessa. Noè, secondo Fra Annio, morì in Etruria, dove era chiamato Iano (quindi il Giano di romana memoria). non solo: in veste di Pontifex maximus, avrebbe dato origine al sacerdozio, al rito romano (inteso in senso liturgico proprio della Chiesa) e alla struttura della dignità ecclesiastica.
Ovviamente, Fra Annio accusava gli storici romani di aver smentito questa tradizione antica per conformarsi alla grande cultura greca, che andava di moda a Roma e che oggi in qualche modo ha conformato la struttura classica del sapere occidentale. Questione di punti di vista, e non di falsificazione storica e letteraria, se permettete.
Se ci si prende la briga di optare per una parziale o totale revisione storica e quindi antropologica e religiosa, e non si ha la precisione oratoria e la grande verve di Mauro Biglino, sono guai. Ma di Mauro Biglino e di quanto ha scritto, parleremo un'altra volta. Era solo per farvi capire che razza di sentiero accidentato ho intrapreso, nella mia modesta proposta letteraria, con i romanzi sopra descritti. Tramite la narrazione, ripropongo parte delle tesi esposte da Fra Annio. Scusate se oso.
Citazione di Francesco Guccini, poeta e cantore moderno:
Però non ho mai detto che a canzoni
Si fan rivoluzioni, si possa far poesia
Io canto quando posso, come posso
Quando ne ho voglia senza applausi o fischi
Vendere o no non passa fra i miei rischi
Non comprate i miei dischi e sputatemi addosso
L'Avvelenata, brano contenuto nell'album Via Paolo Fabbri, 43, 1976
Nel mio caso, potete tranquillamente evitare di comprare i miei romanzi e racconti e sputarmi addosso ugualmente, non c'è problema. Senza saperlo, il buon Guccini la pensava, nel 1976, come la penso io, ora.
Continuerò a esporre, liberamente, quel che penso e soprattutto quel che conosco. C'è tempo per smentirmi, insultarmi, e soprattutto, quel che non accadde a Fra Annio, non pubblicarmi, con buona pace di editori, critici letterari, dotti, medici e sapienti vari.
Io mi diverto a scrivere, voi divertitevi a spupazzarmi. Simpatico neologismo di mia invenzione. L'eterno gioco delle parti per quel che mi riguarda.
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