Accade, talvolta, che dalle nebbie del nostro inconscio, oppure del nostro vissuto, escano incubi talmente rivoltanti da suscitare sconcerto prima che paura o disgusto. Vecchi pentimenti, situazioni irrisolte che hanno magari causato blocchi emozionali o cortocircuiti sentimentali.
Eccoli lì, i mostri che tornano a ricordarci quel che non abbiamo saputo o voluto dire o fare, impassibili convitati di pietra della nostra coscienza. E in effetti, nel momento di massimo orrore, nell'istante che precede un crollo emozionale, la prima a dolersene è proprio la coscienza che avverte anche le sfumature più sottili di una sofferenza profonda.
Taluni, hanno visto materializzarsi nell'ombra non uno spettro che nascesse dalle loro paure bensì l'incarnato dei loro errori che viene a pretendere il giusto e immacabile ristoro.
Dobbiamo essere certi che vediamo sempre, sia nell'incubo più terrificante, come nel giorno più triste, quel che dobbiamo vedere perché non l'abbiamo compreso e quindi risolto. Non solo a livello individuale.
Anche se nei nostri cuori dovesse albergare l'ideale più incorruttibile e splendente, quanto ci si para davanti con ghigno mostruoso è l'origine del nostro male, perché dal fondo emerge sempre un errore, non la verità o la giustizia, che sono leggere come il soffio delle brezze di primavera e volano alte.
Quanto sta accadendo al nostro Paese è originato da tutti i nostri errori, profondi, completi e senza appello. Abbiamo lasciato al peggio di prevalere, sostituendo la sana protesta e la voglia di rinnovamento con la gazzarra dei pagliacci ubriachi di strada che, inevitabilmente, ha portato con sé ogni possibile nequizia da dove si origina il malaffare peggiore: quello che domina gli altri con ii ricatto e il bisogno.
Insistendo in questo errore, l'orrore si moltiplicherà ad ogni ritorno. Dal punto di vista sociale, noi pensiamo che essi possano fare il nostro bene, pensare ai nostri bisogni, adoperarsi per quel che serve, quando serve farlo. È questo l'errore: dalla malvagità dell'oppressore nasce solo la convinzione di poter fare peggio ancora nei confronti della vittima predestinata, infierire sui resti dei cadaveri è la vera ferocia del più perfido predone.
Le spoglie del Paese che fu, sono già state sparse fuori dalle porte. Hanno già fatto strage di ogni pudore dopo aver arraffato quel che potevano dalle stanze migliori. Gli restano da gestire le macerie di un paese che possedeva tradizione, gloria e ricordo.
I predoni sono sempre convinti di poter solo grattare quel che possono portare nelle tasche. Non potranno mai sostituirsi alla grandezza che fu, quindi ne demoliscono il ricordo.
A noi non resta che evitare di fissare troppo a lungo il loro olezzo rivoltante, l'apetto orribile, la consistenza più viscida e ributtante che pensavamo non potesse mai materializzarsi. E invece è lì a ricordarci che è nostro dovere, se non possiamo fare, almeno ricordare che esiste un mondo migliore. Esiste sempre anche quando, nel fitto della foresta più oppressiva e frustante, non vediamo nulla intorno a noi. Esiste sempre perché è dentro di noi, proprio dietro a tutto l'orrore del mondo che torna a tormentarci di notte.
Inutile continuare a ripetere la nostra sofferenza. Siamo altra cosa rispetto a una condizione da schiavo perenne di un potere troppo forte da sconfiggere. Probabilmente, la lotta è proprio quanto ci lega al mostro che prevale sempre e comunque.
L'abbiamo già fissato in volto e scoperto che è il riflesso del peggio che esisteva in noi. La luce è molto lontana e non si piega verso di noi, ma si allontana man mano che cerchiamo di salire verso di lei. Se la strada è già piena, quale materia potrà mai sostituirsi a quella strada? Oppure avanzare lungo lo stesso percorso già occupato?
Il paradiso non è un luogo vuoto e desolato, è già pieno di ogni splendore. Se lo si può solo fissare da molto lontano, è forse proprio perché rimane irraggiungibile: non un posto ma un faro. Non un traguardo ma un ricordo.
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