Come scritto nei post precedenti, ecco che la nostra prigione assume la consistenza di un incubo a occhi aperti ma molto reale. Un incubo nel quale si nasce, solitamente, e che con gli occhi di un bambino non sembra poi così brutto e concreto. Sempre un incubo resta e prima o poi se ne prende atto definitivamente.
Una prigione può costituire persino un rifugio o un momento di protezione dal mondo esterno, ma resta una prigione con mura e cancelli perennemente chiusi; un luogo dove al posto della libertà esiste un'illusione, o meglio, una serie di illusioni.
Una delle peggiori, propagandata e urlata a mo' di megafono dai media (che restano gli alfieri della nostra prigione, non dimenticatelo mai) è (l'inesistente) ascensore sociale. Un concetto che si può riassumere facilmente: dato che la società è sempre stata divisa in classi o ceti, esisterebbe la possibilità di transitare da un ceto basso a uno più elevato tramite la cultura, il lavoro o conoscenze adatte.
Non accade quasi mai, e se accade è la classica eccezione che conferma la negazione generale. È successo a me e succede anche a voi.
Da giovani, subito dopo le illusioni adolescenziali, di solito nell'occasione di cercare una compagna o un compagno o un lavoro, vi accorgete di vedere intorno a voi muri invisibili a un'occhiata superficiale che dividono le persone. Di solito il divisorio è costituito da una maggior qualità della vita contraddistinta da un benessere materiale piuttosto evidente.
Si parla di quei simpatici ragazzi che potevano sfoggiare la moto più performante al liceo, o di quei fortunati che magari avevano una macchina sportiva gentilmente regalata dal padre o dalla madre, all'università. Le loro vacanze erano organizzate a Cortina oppure all'isola di moda, e persino l'insegnamento scolastico sostava per la mitica settimana bianca, visto che il loro diritto alla neve riusciva anche a far rallentare i programmi ministeriali.
Le ragazze, oggi al pari eventualmente munite da motori o altri benefit, generalmente un tempo andavano vestite in un certo modo e ai loro ricevimenti casalinghi preferivano i party all'interno di un locale affittato. Figlie di un noto avvocato, piuttosto che di un manager o persino di un imprenditore di successo, sfoggiavano gli ultimi abiti alla moda o le acconciature da parrucchiere piuttosto che la solita treccia fatta dalla mamma o dalla sorella più grande.
Senza neppure fare il minimo sforzo né per agevolare questo schema e tantomeno scegliendolo direttamente, ci si trova incanalati in una sorta di vita preconfezionata che dipende da tre varianti: provenienza familiare, aspetto fisico, quantità di denaro di cui disponi.
Taluni si illudono di poter prendere il famoso ascensore sociale che li fa salire di ceto semplicemente studiando. Studiare, per un ragazzo o una ragazza che viene dai ceti borghesi più bassi come dal vecchio proletariato, significava approfittare delle fatiche di genitori impiegati o salariati. Era un ascensore comunque costoso e che ti permetteva, al di più, un lavoro migliore.
Restavi il figlio di un contadino, di un operaio, di un piccolo impiegato.
Per qualcuni anni, specie nel dopo-guerra, in Italia lo studio scolastico e universitario ha permesso a molte persone di illudersi che l'ascensore sociale funzionasse realmente. Oggi, quest' illusione è tramontata definitivamente. Qualunque laureato potrebbe testimoniarlo senza discussione ulteriore. Anche perché la precarizzazione lavorativa è diventata l'ennesimo muro attorno a noi, un muro altissimo aggravato dalle leggi che hanno via via allungato il permanere al lavoro di milioni di persone che un tempo, se non altro, liberavano quell'impiego dai 45 ai 60 anni e che oggi sono costrette ad arrivare a 67 e oltre.
Sono molti quelli che sappiamo, ormai, morire in servizio attivo o a pochi mesi dal pensionamento. E al loro dramam si acocmpagna la disoccupazioen praticamente a vita di milioni di persone, mitigata dalreddito di cittadinanza che ha la caratteristica, ovviamente, di non essere reversibile per il coniuge. Un modo come un altro per lenire il cosiddetto problema-pensioni, che non esisterebbe in una società fondata sulla giustizia sociale. il denaro è una creazione bancaria, lo sappiamo bene, e non può diventare il materiale ferroso con cui si confeziona una catena personale per la gente. Una catena tirata da due estemi costituiti da un vecchio che non ce la fa più a lavorare e un ragazzo che non lo sostituirà mai, diventando un disoccupato a vita.
In quel caso, l'ascensore non solo non è mai esistito ma si fermato da tempo anche se poteva costituire un'illusione. Quando la mente è esaurita e il fisico non risponde neppure alla fatica, dopo oltre 30 anni di lavoro, qualunque lavoro, solo l'idea di dover uscire per forza la mattina costituisce una dolorosa sequenza di giornate sempre uguali dove si pensa a una sola soluzione: il giorno in cui potrai svegliarti e decidere cosa fare e quando.
La mancanza di un vero e proprio ascensore sociale determina pertanto il permanere nel ceto di nascita e nella classe sociale d'origine ed la miglior garanzia per chi occupa i posti privilegiati della società.
Al di là delle idiozie diffuse dai media, la nostra è una società del tutto bloccata, con la distanza tra i più ricchi e i più poveri che aumenta a dismisura, figlia di un capitalismo selvaggio che è diventato ordo-liberismo negli ultimi 20 anni e che da molti è considerato la tomba della democrazia sociale, una democrazia paventata ma mai realizzata, del resto, l'assenza della quale, in buona sostanza, è la vera malta che fissa i mattoni della nostra prigione.
Vi confesso, io che ve la sto descrivendo, che conoscerla non equivale affatto a liberarsene; eppure, la chiave per aprire la porta di questo penitenziario della Matrice, certamente passa per una conoscenza superiore. Questo sappiamo da quanti tornano indietro per parlarci di quel che esiste oltre. Nei prossimo post parlerò anche di un altro muro che si erge intorno a noi, un muro persino più insuperabile: la falsa conoscenza.
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