giovedì 21 luglio 2022

I RETTILI TRA NOI - Estratto

 

La gente, tra una generalizzata carenza di posti di lavoro, l’impoverimento dei piccoli commercianti e delle piccole imprese, viveva affidandosi sempre più a lavori in nero e comunque assolutamente transitori e mal retribuiti, in parallelo con una crescente presenza di immigrati poveri che peggioravano il deperimento del tessuto sociale.

Eravamo su una carriola senza freni che aveva imboccato un sentiero in discesa e sembrava proprio che la caduta potesse soltanto accelerare la fine imminente.

 Di solito, l’impoverimento collettivo precede tumulti e agitazioni di ogni tipo. Per ora, questi sintomi erano lontani nella società italiana ma covavano sotto la cenere di un crescente disagio sociale. Personalmente, non sapevo quanto sarebbero durati i risparmi accumulati in quasi quarant’anni di lavoro e l’attività letteraria non mi procurava alcun guadagno, se non in termini morali e di soddisfazione professionale.

Pubblicare tramite le multinazionali del settore serviva a farsi conoscere e  apprezzare come scrittore ma certamente non compensava il lavoro in termini economici.

Non potevo, comunque, smettere di descrivere quel che vedevo dato che era da ritenersi di grande rilevanza collettiva il messaggio ricevuto dai lettori del mio primo romanzo che narrava le confidenze di addotti sul conflitto alieno in corso, come penso sarà di questo libro che racconta gli sviluppi seguenti.

Inizialmente, avevo pensato di raccontare l’indagine sulla scomparsa e la ricerca di Carlo. Quel che è accaduto poi, non era ovviamente prevedibile né ipotizzabile all’inizio di questa storia.

Avevo appena terminato di mettere in ordine gli appunti relativi all’estate ormai conclusa e pensai di riprendere i vecchi studi sui fenomeni paranormali, anche per liberare la mente dal ricordo di Claudia che tormentava le mie notti. La sua disperata sensualità aveva lasciato in me una certa nostalgia e il desiderio di rivederla.

Fosse, o no, una copia biologica della ex moglie di Carlo, poco m’interessava. Devo ammettere che ne sentivo la mancanza e me ne vergognavo persino. Amavo, come amo tuttora, mia moglie ed aver bisogno di un’altra donna non mi permetteva di assolvermi.

Di notte non riuscivo più a dormire serenamente e sognavo pochissimo. Questa situazione andò avanti fino ad appunto a settembre, quando i miei familiari decisero di andare per qualche giorno fuori città a causa del caldo ancora intenso.

Mi trascurai non poco, bevendo grandi quantità di liquidi  e mangiando pochissimo. Circolavo solo di sera per evitare il calore del giorno finché una notte più che addormentarmi persi i sensi.

Quando mi risvegliai, mi sentivo debolissimo e quasi non mi riusciva di respirare.

Avevo la gola riarsa, e se avessi potuto alzarmi, sarei andato a bere del  succo di frutta freddo di frigorifero. Una debolezza incredibile me l’impediva.

Mi misi a sedere sul letto. Vidi davanti a me, come dentro il monitor di un computer, una specie di porta che si alzava e si abbatteva come se fosse mossa da un vento impetuoso. Quel movimento della soglia dall’alto in basso sarebbe risultato persino rilassante se non fosse stato per il forte boato che proveniva dopo ogni folata di vento che faceva precipitare la soglia a terra.

Sentivo il cuore battermi all’impazzata, probabilmente nel tentativo fisiologico di compensare la pressione arteriosa che calava a picco.

Poi mi ritrovai proiettato come figura alzata verso quella soglia riuscendo a rimettermi in piedi su una specie di sentiero di terra battuta circondata da erba finissima. Il vento proveniva da lì saettando ovunque, sollevando circoli di polvere in aria con una forza notevole.

Mi ricordai di aver letto da qualche parte che tramite quel sentiero era possibile trovare un altipiano dove il vento sembrava circolare più fortemente ed era lì che si trovava il varco per l’Aldilà che quindi introduceva nel mondo eterico. Era il mondo astrale che cercavo e desideravo più di ogni altra cosa, certamente lontano da quel luogo di confine.

Da qualche parte, su quell’altipiano, doveva esserci una specie di galleria ostruita da una pellicola che sembrava viva e che poteva essere superata solo dai defunti, mentre invece chi voleva transitare da uomo vivente doveva gridare al fine di lacerarla e quindi poter entrare.

Non vidi nulla di tutto questo ma, molto lentamente, visualizzai un altro scenario e un altro altipiano, in una notte gelida, dove vidi dall’alto un gruppo di almeno cinquanta persone che bivaccano in un clima freddo e ventoso.

Vidi poi le mie mani gonfie e segnate dal lavoro duro. In quel momento ero a terra, vestito con vari strati di stracci e un berretto fatto di bende e foglie che mi riparava la fronte dal gelo. Percepivo la disperazione degli altri, intorno a me.

Cercai di riconoscerli ma non vidi che volti sconosciuti: uomini, perlopiù anziani, molte donne di varie età e qualche bambino tremante e infreddolito. Un personaggio più alto della maggioranza di noi, dalla lunga barba grigia, stava leggendo un foglio con voce roca, accanto al fuoco:

- Due sacchi di farina di mais; due ceste di frutti di bosco, quattro damigiane di acqua potabile, due sacchi di zucchero, tre di sale, venti chili di patate, e venti litri di latte di capra. Non ci resta altro. A te, cuoco, il compito di farci mangiare tutti. Cosa ne dici?

Il gruppo si voltò verso di me. Ero io l’incaricato della cucina.

Non sapevo, letteralmente, né cosa stesse accadendo e tantomeno chi fossi.

- Volete… una soluzione da me? Quelle provviste non basteranno che per un paio di giorni e quindi per sei pasti. – risposi, di getto, in lingua polacca.

L’uomo che aveva letto l’elenco di provviste, mi prese da parte per parlarmi.

- Che ti succede, Jacob? Hai sempre dimostrato spirito d’iniziativa in occasioni come questa. Da quando abbiamo lasciato Varsavia, praticamente ci hai tirato fuori dai guai con le tue invenzioni culinarie. Siamo sopravvissuti grazie a te.

- Da… davvero? – balbettai.- Senti, devo aver preso freddo, ma non ricordo nulla del recente passato. Dici che mi chiamo Jacob? Perché siamo fuggiti dalla città, cos’è accaduto?

L’uomo mi fissò, allarmato. – Almeno di me, il tuo miglior amico, ti ricordi? Sono Piotr, il fabbro. Siamo fuggiti da Varsavia appena i mostri ci hanno affrontato casa per casa, dopo aver sbaragliato la milizia. Eravamo troppo disarmati e impauriti per poterli affrontare. A mani nude, servivano dieci dei nostri per combattere i Rettili.

- Vuoi dire che i Rettili hanno invaso Varsavia?

- E tutto il resto del mondo, per quel che ne sappiamo. Si lotta ovunque, città per città, e nelle campagne sono fuggiti i più deboli, vecchi, donne, bambini. Il nostro problema è che siamo gli unici in età da lavoro ed ora, senza provviste, non sappiamo come sopravvivere. Forse, stavolta, c’è da augurarsi che i Russi arrivino con la loro aviazione; ma vedrai che quelli raderanno al suolo le città per uccidere i mostri che le hanno invase. Butteranno il bambino con l’acqua sporca.

Da dove ci trovavamo, vedevo davanti all’altipiano, un vasto lago, prima della foresta scura che la notte aveva disegnato con le sue ombre lunghe.

- Hai pensato che lì ci dov’essere del pesce? Potremmo andare a pescare, domattina.

Piotr mi batté la spalla.

- Approvato. Ma stasera?...

- Ascolta. Facciamo bollire le patate, almeno dieci chili. Una volta bollite, si sbucciano e si schiacciano, prima di aggiungere un po’ di farina di mais. Faremo dei rotolini di pasta poi degli gnocchi. Faremo poi bollire il latte aggiungendo farina e quindi il condimento necessario. Per dessert i frutti di bosco. Le bucce, però, non le buttate. Possono essere tritate e con quelle costituire zuppe nutrienti.

- Ottimo, e domani pescheremo. Faccio muovere le nostre donne.

Guardai poi i volti di quei poveri profughi. I vecchi erano in cinque, poi le donne di ogni età e i dieci bambini. Se ci avessero intercettato i mostri, non avremmo potuto opporre nemmeno una debole resistenza.

Il freddo m’ impediva di ragionare coerentemente. Come potevo essere finito nel corpo di Jacob, resistente polacco durante l’invasione dei Rettiliani? Forse, era un altro degli insegnamenti della donna-Elohim che non voleva dirmi il suo nome?

Apparentemente la mia consapevolezza si era incarnata in un profugo polacco, più o meno della mia età, all’indomani dell’invasione rettiliana.

La notte fu veramente difficile. I bambini, stretti agli adulti, avevano trovato il conforto del sonno. Il pasto caldo che avevo preparato era stato appena sufficiente per quegli stomaci affamati.

Io mi sentivo molto bene dato che ho sempre apprezzato il clima gelido e vicino al fuoco che non dovevo far spegnere, attendevo il momento di svegliare Piotr per il suo turno di guardia.

Il silenzio era eccessivo su quell’altipiano. Intorno a noi, solo roccia, qualche rado arbusto e sterpaglia. In basso, si stendeva una folta foresta di maestose querce. Facevano loro compagnia tigli e carpini.

Pensai che dopo il disboscamento deciso nel 2016 dalle autorità locali, la foresta non avrebbe più potuto costituire un valido rifugio dall’avanzata degli invasori.

Ero consapevole di trovarmi in una specie di sogno lucido dove ricordavo la mia vita reale eppure ero nel corpo di un altro personaggio invischiato, forse, nel futuro prossimo, nello scenario dell’invasione della capitale polacca da parte dei Rettiliani.

Un cuoco profugo, in mezzo a un gruppo di fuggiaschi alle prese con problemi di approvvigionamento e certamente con la paura di fare pessimi incontri.

Accanto al fuoco, parzialmente disteso su un fianco, stavo rimuginando i pensieri di questa vita e mi parve subito evidente di come la coscienza possa indifferentemente spostarsi in altri corpi durante i sogni ordinari.

Alcuni, in quel preciso momento, nel mio tempo, stavano cercando di compiere operazioni alchemiche sull’olio nero della Terra, chiamato Sangue di Drago, che in sé replicava forse una delle virtù dell’Albero della Vita.

La Terra, luogo multidimensionale, forse soltanto uno degli altri territori che si estendevano oltre i confini ghiacciati, era stato scelto dagli antichi dei non solo per il suo contenuto di terre rare ma anche per la preferenza che i Censori avevano manifestato per quel luogo. 

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