lunedì 26 dicembre 2022

Essere Morti - 2

 

- Qualche domanda, dottor Hackey?

- Direttore, preferirei tentare un approccio più morbido, almeno all’inizio. Se non potremo strappargli il consenso per l’ipnosi da subito, magari si può tentare di convincerlo con il tempo.

- Abbiamo tempo? – chiese, polemicamente, la dottoressa Pimby – Il giudice aspetta la nostra diagnosi senza contare che i ragazzi potrebbero essere ancora vivi, prigionieri in qualche luogo oppure affidati a un complice.

Cliveberry sorrise, pensieroso – In effetti, non posso concedervi più di ventiquattr’ore. Lavorerete insieme a questo caso – disse, rivolgendosi ai due medici più giovani – E mi porterete entro la giornata di domani le risposte che voglio. In caso contrario, procederemo come da protocollo.

James, steso sulla brandina della sua cella, fissava la luna dalla finestra rettangolare protetta da sbarre e da una rete metallica per impedire che qualsiasi animale oppure un oggetto potessero entrare o uscire da quel luogo.

Era ormai mezzanotte e stava pensando quanto fosse strana la sua situazione. Non era mai stato particolarmente religioso ma era naturale che ragionasse sull’essere finito in una sorta di purgatorio. Non avrebbe mai immaginato, dopo aver constatato la propria morte, di potersi trovare costretto in quel modo.

Istintivamente aveva sempre considerato, da vivo, l’Aldilà, alla stregua di una promessa di liberazione dagli affanni della vita terrena.

 Una volta esaminata la scena, quasi immobile nel tempo, dove vedeva il suo corpo maciullato all’interno dell’automobile schiacciata da quel grande albero, e non provava nemmeno il minimo fastidio o dolore, una strana allegria si era impossessata di lui.

Il vecchio mondo ancora macinava i suoi riti, davanti ai suoi occhi, ma le persone stavano diminuendo a vista d’occhio, per le strade, nei negozi, all’interno delle abitazioni.

Pian piano si accorse che quelli che poteva incontrare erano deceduti da anni, forse da secoli. Persone che si muovevano e si comportavano come fossero ancora vive, intente nelle normali occupazioni quotidiane.

Pensò comunque di tornare, a piedi, presso la propria abitazione, una bassa villetta in periferia. Il silenzio quasi assoluto copriva come una vecchia coperta di lana l’intero isolato.

Entrando in casa, notò subito che ogni apparecchio elettrico non funzionava. Radio, televisione, frigorifero, climatizzatore e tanto meno l’illuminazione elettrica. Anche il cellulare che ancora teneva in tasca era spento e senza possibilità di accendersi.

Quel nuovo mondo, era dunque senza corrente elettrica. Non gli balenò in mente neppure per un istante che potesse essersi verificato un black-out in tutta la zona e che magari il suo cellulare si fosse danneggiato nell’incidente stradale che lo aveva ucciso.

Non ragionava minimamente sul fatto che si poteva trovare in un mondo alternativo a quello che aveva conosciuto e abitato solo da defunti, oppure, era finito nel suo vecchio mondo, visto con gli occhi di un morto.

Si era seduto sul divano, che la sua mogliettina, molto prima di fuggire, aveva insistito tanto per rivestire con un’orribile copriletto a fiori sgargianti.

Nella vita di prima, tra poco sarebbero rientrati i figlioletti dalla scuola ma ovviamente nessuno si presentò alla porta per ore. Si accorse di non avere fame ma soltanto una vaga sete, e per sua fortuna, l’acqua scorreva ancora dal rubinetto anche se a tratti e con una pressione molto ridotta. 

Verso sera, si meravigliò non poco dell’assoluta mancanza di rumori o suoni dalla strada. Il pub all’angolo era chiuso e silenzioso. E così pure i negozi del viale principale e il ristorante di Betty. 

All’improvviso, però, si accorse che dalla finestra del soggiorno proveniva la luce di tutti i locali della zona, che si proiettava all’interno dell’abitazione con spettacolari riflessi multicolori.

Uscì di casa per andare proprio da Betty, dove aveva passato molte sere a cercare di spiegarsi per quale diavolo di motivo la sua donna lo aveva lasciato, tra una bottiglia e l’altra.

Il ristorante era aperto e normalmente funzionante. Non c’era molta gente seduta ai tavoli di legno, e le due cameriere che aiutavano Betty di norma, non si vedevano.

Betty, la sessantenne proprietaria del locale, vedova da una vita, lo accolse con entusiasmo:

- James! Bentornato! Lo sai cosa dicevano?

L’uomo si sedette sullo sgabello, al bancone, e chiese il solito. Che equivaleva a frittelle, uova sode e birra. Avrebbe voluto chiedere alla donna come mai la corrente elettrica, in quel luogo, c’era come prima… prima del disastro. Betty smise si sorridere.

- Il magazzino sotterraneo è vuoto. E i rifornimenti che aspettavo, non sono venuti. Stamattina il furgone di Henry non si è proprio visto. Siamo a secco, James, a parte acqua fresca. Quella, quanta ne vuoi. Magari con ghiaccio?

- Te l’ho chiesto più che altro per abitudine. Non ho fame. Ma dimmi: cosa dicevano di me?

Betty smise di sorridere – Malelingue. Gente che vive di bugie per farsi bella. Dicevano che eri morto in un incidente, durante il temporale di ieri. Dicevano che si stava avvicinando un terribile uragano ed eravamo in pericolo tutti. Ma vedi da te che il tempo è migliorato.

James le aveva sorriso, compiacente. Aveva sempre provato una forte simpatia per quella donna.

- Betty, il tempo è migliorato perché non è più il nostro tempo. Noi siamo morti.

James restò a fissare la luna, steso sulla brandina, finché il sonno non lo costrinse a chiudere gli occhi. Aveva imparato che anche da morti si dorme e si sogna. Purtroppo, anche da morti, la gente, troppa gente non se ne accorge e continua con le vecchie tiritere. Le abitudini sono le ultime a morire.

Dopo quella sera nel ristorante di Betty, alcuni individui con strane divise erano venuti a cercarlo a casa per fargli domande su domande, con insistenza, con cattiveria in alcuni momenti.

Alle sue spiegazioni, a ciò che diceva in buona fede, insistevano con le loro dichiarazioni e volevano, soprattutto, sapere dove erano finiti i suoi figli.

Grazie al Cielo, spiegava James, dovevano essere ancora vivi. L’uragano aveva certamente risparmiato la scuola, costruita secondo i protocolli di massima sicurezza.

Dopo qualche giorno, si erano presentati per interrogarlo due poliziotti. Uno di loro somigliava incredibilmente al nipote di Betty. Evidentemente, un’altra vittima dell’uragano.

I poliziotti lo costrinsero a sottoporsi a visite, controlli, e ogni genere di altri interrogatori.

James comprese che la maggioranza di quei morti non voleva accettare assolutamente quel che per lui era così evidente e palese. Erano convinti di essere ancora vivi e si comportavano come avrebbero fatto nel vecchio mondo.

Più esattamente, quel mondo che vedeva intorno a lui era edificato dalla memoria collettiva di tutti quei defunti e imposto a chiunque fosse inserito nella comunità.

Pertanto, James era certo che se la maggioranza avesse accettato l’idea della propria morte, anche la percezione del mondo esterno sarebbe istantaneamente cambiata per tutti.

Non si trovava bene panni del profeta o dell’oracolo. Era sempre stato un uomo semplice e vigoroso, forse un po’ credulone ma onesto. Come fare a convincerli che non dovevano comportarsi in maniera così irragionevole?

Fu questo l’ultimo pensiero prima di dormire e sognare. Sognare la vecchia esistenza, le persone che non poteva più incontrare e il sorriso di sua moglie. Svanito, come la vita di prima, per sempre.

Alla notte segue l’alba, di regola, ma in quel mondo, alla notte può seguire un’altra notte. Infatti, James si destò nel silenzio più assoluto, alla luce di quella luna diventata quasi gigante, immanente, troppo presente in quella piccola cella.

Si alzò a sedere sul letto quasi ubbidendo a un comando silenzioso, poi mise i piedi per terra e si accorse di essere su una nuvola.

Il pavimento era una nuvola che ondeggiava leggermente, senza spostarlo, quasi che volesse scorrere sotto i suoi piedi nudi.

Provò ad alzarsi ma non ci riuscì e qualcosa in lui gli disse che se voleva muoversi doveva formulare pensieri e non cercare di spostare le gambe. Decise allora di attraversare la porta chiusa a chiave e, quasi immediatamente, si ritrovò dall’altra parte. L’aveva attraversata senza nemmeno accorgersene.

Pensò di essere un fantasma nel vecchio mondo, e quindi per questo motivo poteva attraversare porte e pareti. Non si rendeva conto, tuttavia, di come e perché non riuscisse a vedere tutti quelli che conosceva ma solo quanti avevano perso la vita terrena. Anche la sua amica Betty doveva essere perita e glielo aveva detto senza tanti complimenti, beccandosi una grassa risata per risposta.

Pensò di andare a trovarla, dato che il ristorante chiudeva alle due del mattino.

Ritrovandosi a camminare nel corridoio dove vedeva le stanze degli altri ricoverati, stava per uscire quando un lamento straziante proveniente dalla cella davanti alla sua, lo fece fermare. Una voce di giovane donna stava implorando aiuto.

Si avvicinò alla porta, che non aveva spioncino come le celle delle prigioni, e chiese cosa stava accadendo. La voce femminile rispose:

- Dove ci troviamo?

- In un istituto per malattie mentali. Mi chiamo James.

- Dorothy. Non ricordo nulla. Non so come mai sono qui e per quale motivo. Non può dirmelo? La prego…

- Non sono del personale, ne so quanto lei.

- Io non ho fatto niente… - la donna ricominciò a piagnucolare, protestando la propria innocenza.

- Senta, sono stato rinchiuso, come lei, in questo posto e le garantisco che neanch’io ho fatto un bel niente di male. Ora, se vuole, mi raggiunga. Esca da quella porta.

- È bloccata.

- Deve decidere di superarla. Con la mente. Si alzi e pensi di attraversarla.

- Sta scherzando?

- No, come crede che sia uscito, io?

- Si saranno dimenticati di chiudere la sua.

- Ora le faccio vedere…

James pensò di attraversare quella porta e raggiungere quella donna e in un attimo si ritrovò con lei, dentro una cella simile a quella che aveva appena abbandonato.

La donna poteva avere venticinque anni, bionda, minuta e con una bocca disegnata a cuore. Una bella ragazza che indossava una divisa del tutto simile alla sua.

- Ma… Come ha potuto? Come ha fatto?

Appariva sorpresa e persino spaventata. Lo guardava con gli occhi sbarrati.

- Devo confessarle una cosa, mi prometta di non piangere o tremare di spavento. Del resto, siamo nella stessa situazione.

Dorothy lo fissava in silenzio, in quella penombra. Nella cella non arrivava la luce della luna. La notte, tuttavia, non era del tutto oscura e i loro occhi potevano distinguere senza fatica le forme e i contorni degli oggetti. Gli occhi della ragazza brillavano.

- Mi sta spaventando già. Forse lei è un fantasma? – disse poi, tutto d’un fiato.

James ridacchiò piano.

- Ha quasi indovinato. Ma le ho detto che siamo nella stessa situazione.

- Cooosa? Mi prende in giro?

La ragazza si mise le mani sulla testa. Crollò a sedere in quella posa sul letto.

James capiva bene cosa stesse provando.

- Ma… ma se posso vederla, toccare gli oggetti, il mio corpo, come sarebbe possibile… La morte non può essere come la vita.

- Cosa pensava, di volare con gli angeli nella gloria eterna del Signore? Io stavo viaggiando con la mia automobile e un fulmine deve aver arrostito un grande albero che è piombato sulla mia vettura. Mi sono trovato all’esterno, a guardarmi dal margine della strada, mentre cadeva la pioggia. Da quel momento vedo solo persone che hanno perso la vita, come me. Il problema è che non tutti gli altri hanno capito di esser morti, non lo accettano.

- Io mi trovo qui, per quale motivo? Una specie di punizione? Non ricordo nulla.

- Può saperlo solo lei. L’ultima cosa che deve fare, è aver paura. La paura ci bloccava laggiù, ci blocca ora, oppure ci fa agire come stolti. Come vede, la morte è solo un viaggio, come fa l’acqua che può essere liquida, solida o vapore puro. Noi, ora, siamo vapore che può andare ovunque, oltre questa cella. Deve solo desiderarlo fortemente e accade come per magia. Così…

James, si ritrovò dunque oltre la porta chiusa della cella di Dorothy che lo raggiunse un attimo dopo. I defunti imparano molto presto, se non provano terrore.

La ragazza piangeva per la gioia.

- Non pensavo che morire fosse così piacevole. Mi sento benissimo.

- Sono felice per lei. Sappia che rischiamo di incontrare gente che vuole, fortemente, pensare di essere ancora laggiù, sulla Terra che abbiamo conosciuto. Ora, dovremo superare nello stesso modo questo portone sprangato.

I due compagni si ritrovarono nell’atrio principale della struttura, ancora silente. La notte, per definizione comune, doveva durare ancora qualche ora.

Dorothy, istintivamente, cercò e prese la mano del suo compagno.

- Mi permette? Mi pare di essere più tranquilla, così.

- Era sposata?

- Non ricordo nulla, gliel’ho detto. Ma non credo. C’è un modo per sapere quando siamo morti?

- Ne so quanto lei. Forse nei registri comunali è possibile reperire le notizie anagrafiche. Io sono morto da quasi un anno.

- Dovrebbero essere fogli elettronici. Io ricordo computer e stampanti. Forse lavoravo in un ufficio.

James e Dorothy, ormai esperti nell’arte della fuga, si ritrovarono ben presto al di fuori dell’istituto. La mattina era piacevolmente fresca e il sole stava per sorgere sul piccolo parco al di là del quale scorreva la strada statale.

La ragazza stampò un bacio sulla guancia di James.

- In qualche modo, lei mi ha ridato la vita. Da sola avevo solo paura.

- Forse, il nostro problema è proprio questo. Non siamo fatti per stare da soli.

 

Cliveberry era furioso, soprattutto con Andrew.

- Sei proprio sicuro di aver chiuso a chiave questa, dannata, cella?


Tratto dal Mistero del Libro dimenticato - ogni diritto riservato

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