- Qualche
domanda, dottor Hackey?
- Direttore,
preferirei tentare un approccio più morbido, almeno all’inizio. Se non potremo
strappargli il consenso per l’ipnosi da subito, magari si può tentare di
convincerlo con il tempo.
- Abbiamo tempo?
– chiese, polemicamente, la dottoressa Pimby – Il giudice aspetta la nostra
diagnosi senza contare che i ragazzi potrebbero essere ancora vivi, prigionieri
in qualche luogo oppure affidati a un complice.
Cliveberry
sorrise, pensieroso – In effetti, non posso concedervi più di ventiquattr’ore.
Lavorerete insieme a questo caso – disse, rivolgendosi ai due medici più
giovani – E mi porterete entro la giornata di domani le risposte che voglio. In
caso contrario, procederemo come da protocollo.
James, steso
sulla brandina della sua cella, fissava la luna dalla finestra rettangolare
protetta da sbarre e da una rete metallica per impedire che qualsiasi animale
oppure un oggetto potessero entrare o uscire da quel luogo.
Era ormai
mezzanotte e stava pensando quanto fosse strana la sua situazione. Non era mai
stato particolarmente religioso ma era naturale che ragionasse sull’essere
finito in una sorta di purgatorio. Non avrebbe mai immaginato, dopo aver
constatato la propria morte, di potersi trovare costretto in quel modo.
Istintivamente
aveva sempre considerato, da vivo, l’Aldilà, alla stregua di una promessa di
liberazione dagli affanni della vita terrena.
Una volta esaminata la scena, quasi immobile
nel tempo, dove vedeva il suo corpo maciullato all’interno dell’automobile
schiacciata da quel grande albero, e non provava nemmeno il minimo fastidio o
dolore, una strana allegria si era impossessata di lui.
Il vecchio mondo
ancora macinava i suoi riti, davanti ai suoi occhi, ma le persone stavano
diminuendo a vista d’occhio, per le strade, nei negozi, all’interno delle
abitazioni.
Pian piano si
accorse che quelli che poteva incontrare erano deceduti da anni, forse da
secoli. Persone che si muovevano e si comportavano come fossero ancora vive,
intente nelle normali occupazioni quotidiane.
Pensò comunque
di tornare, a piedi, presso la propria abitazione, una bassa villetta in
periferia. Il silenzio quasi assoluto copriva come una vecchia coperta di lana
l’intero isolato.
Entrando in
casa, notò subito che ogni apparecchio elettrico non funzionava. Radio,
televisione, frigorifero, climatizzatore e tanto meno l’illuminazione
elettrica. Anche il cellulare che ancora teneva in tasca era spento e senza
possibilità di accendersi.
Quel nuovo
mondo, era dunque senza corrente elettrica. Non gli balenò in mente neppure per
un istante che potesse essersi verificato un black-out in tutta la zona e che
magari il suo cellulare si fosse danneggiato nell’incidente stradale che lo
aveva ucciso.
Non ragionava
minimamente sul fatto che si poteva trovare in un mondo alternativo a quello
che aveva conosciuto e abitato solo da defunti, oppure, era finito nel suo
vecchio mondo, visto con gli occhi di un morto.
Si era seduto
sul divano, che la sua mogliettina, molto prima di fuggire, aveva insistito
tanto per rivestire con un’orribile copriletto a fiori sgargianti.
Nella vita di
prima, tra poco sarebbero rientrati i figlioletti dalla scuola ma ovviamente
nessuno si presentò alla porta per ore. Si accorse di non avere fame ma
soltanto una vaga sete, e per sua fortuna, l’acqua scorreva ancora dal
rubinetto anche se a tratti e con una pressione molto ridotta.
Verso sera, si
meravigliò non poco dell’assoluta mancanza di rumori o suoni dalla strada. Il pub
all’angolo era chiuso e silenzioso. E così pure i negozi del viale principale e
il ristorante di Betty.
All’improvviso,
però, si accorse che dalla finestra del soggiorno proveniva la luce di tutti i
locali della zona, che si proiettava all’interno dell’abitazione con
spettacolari riflessi multicolori.
Uscì di casa per
andare proprio da Betty, dove aveva passato molte sere a cercare di spiegarsi
per quale diavolo di motivo la sua donna lo aveva lasciato, tra una bottiglia e
l’altra.
Il ristorante
era aperto e normalmente funzionante. Non c’era molta gente seduta ai tavoli di
legno, e le due cameriere che aiutavano Betty di norma, non si vedevano.
Betty, la
sessantenne proprietaria del locale, vedova da una vita, lo accolse con
entusiasmo:
- James! Bentornato!
Lo sai cosa dicevano?
L’uomo si
sedette sullo sgabello, al bancone, e chiese il solito. Che equivaleva a
frittelle, uova sode e birra. Avrebbe voluto chiedere alla donna come mai la
corrente elettrica, in quel luogo, c’era come prima… prima del disastro. Betty
smise si sorridere.
- Il magazzino
sotterraneo è vuoto. E i rifornimenti che aspettavo, non sono venuti.
Stamattina il furgone di Henry non si è proprio visto. Siamo a secco, James, a
parte acqua fresca. Quella, quanta ne vuoi. Magari con ghiaccio?
- Te l’ho
chiesto più che altro per abitudine. Non ho fame. Ma dimmi: cosa dicevano di
me?
Betty smise di
sorridere – Malelingue. Gente che vive di bugie per farsi bella. Dicevano che
eri morto in un incidente, durante il temporale di ieri. Dicevano che si stava
avvicinando un terribile uragano ed eravamo in pericolo tutti. Ma vedi da te
che il tempo è migliorato.
James le aveva
sorriso, compiacente. Aveva sempre provato una forte simpatia per quella donna.
- Betty, il
tempo è migliorato perché non è più il nostro tempo. Noi siamo morti.
James restò a
fissare la luna, steso sulla brandina, finché il sonno non lo costrinse a
chiudere gli occhi. Aveva imparato che anche da morti si dorme e si sogna.
Purtroppo, anche da morti, la gente, troppa gente non se ne accorge e continua
con le vecchie tiritere. Le abitudini sono le ultime a morire.
Dopo quella sera
nel ristorante di Betty, alcuni individui con strane divise erano venuti a
cercarlo a casa per fargli domande su domande, con insistenza, con cattiveria
in alcuni momenti.
Alle sue
spiegazioni, a ciò che diceva in buona fede, insistevano con le loro
dichiarazioni e volevano, soprattutto, sapere dove erano finiti i suoi figli.
Grazie al Cielo,
spiegava James, dovevano essere ancora vivi. L’uragano aveva certamente
risparmiato la scuola, costruita secondo i protocolli di massima sicurezza.
Dopo qualche
giorno, si erano presentati per interrogarlo due poliziotti. Uno di loro
somigliava incredibilmente al nipote di Betty. Evidentemente, un’altra vittima dell’uragano.
I poliziotti lo
costrinsero a sottoporsi a visite, controlli, e ogni genere di altri
interrogatori.
James comprese
che la maggioranza di quei morti non voleva accettare assolutamente quel che
per lui era così evidente e palese. Erano convinti di essere ancora vivi e si
comportavano come avrebbero fatto nel vecchio mondo.
Più esattamente,
quel mondo che vedeva intorno a lui era edificato dalla memoria collettiva di
tutti quei defunti e imposto a chiunque fosse inserito nella comunità.
Pertanto, James
era certo che se la maggioranza avesse accettato l’idea della propria morte,
anche la percezione del mondo esterno sarebbe istantaneamente cambiata per
tutti.
Non si trovava
bene panni del profeta o dell’oracolo. Era sempre stato un uomo semplice e
vigoroso, forse un po’ credulone ma onesto. Come fare a convincerli che non
dovevano comportarsi in maniera così irragionevole?
Fu questo
l’ultimo pensiero prima di dormire e sognare. Sognare la vecchia esistenza, le
persone che non poteva più incontrare e il sorriso di sua moglie. Svanito, come
la vita di prima, per sempre.
Alla notte segue
l’alba, di regola, ma in quel mondo, alla notte può seguire un’altra notte.
Infatti, James si destò nel silenzio più assoluto, alla luce di quella luna
diventata quasi gigante, immanente, troppo presente in quella piccola cella.
Si alzò a sedere
sul letto quasi ubbidendo a un comando silenzioso, poi mise i piedi per terra e
si accorse di essere su una nuvola.
Il pavimento era
una nuvola che ondeggiava leggermente, senza spostarlo, quasi che volesse
scorrere sotto i suoi piedi nudi.
Provò ad alzarsi
ma non ci riuscì e qualcosa in lui gli disse che se voleva muoversi doveva
formulare pensieri e non cercare di spostare le gambe. Decise allora di
attraversare la porta chiusa a chiave e, quasi immediatamente, si ritrovò
dall’altra parte. L’aveva attraversata senza nemmeno accorgersene.
Pensò di essere
un fantasma nel vecchio mondo, e quindi per questo motivo poteva attraversare
porte e pareti. Non si rendeva conto, tuttavia, di come e perché non riuscisse
a vedere tutti quelli che conosceva ma solo quanti avevano perso la vita
terrena. Anche la sua amica Betty doveva essere perita e glielo aveva detto
senza tanti complimenti, beccandosi una grassa risata per risposta.
Pensò di andare
a trovarla, dato che il ristorante chiudeva alle due del mattino.
Ritrovandosi a
camminare nel corridoio dove vedeva le stanze degli altri ricoverati, stava per
uscire quando un lamento straziante proveniente dalla cella davanti alla sua, lo
fece fermare. Una voce di giovane donna stava implorando aiuto.
Si avvicinò alla
porta, che non aveva spioncino come le celle delle prigioni, e chiese cosa
stava accadendo. La voce femminile rispose:
- Dove ci
troviamo?
- In un istituto
per malattie mentali. Mi chiamo James.
- Dorothy. Non
ricordo nulla. Non so come mai sono qui e per quale motivo. Non può dirmelo? La
prego…
- Non sono del
personale, ne so quanto lei.
- Io non ho
fatto niente… - la donna ricominciò a piagnucolare, protestando la propria innocenza.
- Senta, sono
stato rinchiuso, come lei, in questo posto e le garantisco che neanch’io ho
fatto un bel niente di male. Ora, se vuole, mi raggiunga. Esca da quella porta.
- È bloccata.
- Deve decidere
di superarla. Con la mente. Si alzi e pensi di attraversarla.
- Sta
scherzando?
- No, come crede
che sia uscito, io?
- Si saranno
dimenticati di chiudere la sua.
- Ora le faccio
vedere…
James pensò di
attraversare quella porta e raggiungere quella donna e in un attimo si ritrovò
con lei, dentro una cella simile a quella che aveva appena abbandonato.
La donna poteva
avere venticinque anni, bionda, minuta e con una bocca disegnata a cuore. Una
bella ragazza che indossava una divisa del tutto simile alla sua.
- Ma… Come ha
potuto? Come ha fatto?
Appariva
sorpresa e persino spaventata. Lo guardava con gli occhi sbarrati.
- Devo
confessarle una cosa, mi prometta di non piangere o tremare di spavento. Del
resto, siamo nella stessa situazione.
Dorothy lo
fissava in silenzio, in quella penombra. Nella cella non arrivava la luce della
luna. La notte, tuttavia, non era del tutto oscura e i loro occhi potevano
distinguere senza fatica le forme e i contorni degli oggetti. Gli occhi della
ragazza brillavano.
- Mi sta
spaventando già. Forse lei è un fantasma? – disse poi, tutto d’un fiato.
James ridacchiò
piano.
- Ha quasi
indovinato. Ma le ho detto che siamo nella stessa situazione.
- Cooosa? Mi
prende in giro?
La ragazza si
mise le mani sulla testa. Crollò a sedere in quella posa sul letto.
James capiva
bene cosa stesse provando.
- Ma… ma se
posso vederla, toccare gli oggetti, il mio corpo, come sarebbe possibile… La
morte non può essere come la vita.
- Cosa pensava,
di volare con gli angeli nella gloria eterna del Signore? Io stavo viaggiando
con la mia automobile e un fulmine deve aver arrostito un grande albero che è
piombato sulla mia vettura. Mi sono trovato all’esterno, a guardarmi dal
margine della strada, mentre cadeva la pioggia. Da quel momento vedo solo
persone che hanno perso la vita, come me. Il problema è che non tutti gli altri
hanno capito di esser morti, non lo accettano.
- Io mi trovo
qui, per quale motivo? Una specie di punizione? Non ricordo nulla.
- Può saperlo
solo lei. L’ultima cosa che deve fare, è aver paura. La paura ci bloccava
laggiù, ci blocca ora, oppure ci fa agire come stolti. Come vede, la morte è
solo un viaggio, come fa l’acqua che può essere liquida, solida o vapore puro.
Noi, ora, siamo vapore che può andare ovunque, oltre questa cella. Deve solo
desiderarlo fortemente e accade come per magia. Così…
James, si
ritrovò dunque oltre la porta chiusa della cella di Dorothy che lo raggiunse un
attimo dopo. I defunti imparano molto presto, se non provano terrore.
La ragazza
piangeva per la gioia.
- Non pensavo
che morire fosse così piacevole. Mi sento benissimo.
- Sono felice
per lei. Sappia che rischiamo di incontrare gente che vuole, fortemente,
pensare di essere ancora laggiù, sulla Terra che abbiamo conosciuto. Ora,
dovremo superare nello stesso modo questo portone sprangato.
I due compagni
si ritrovarono nell’atrio principale della struttura, ancora silente. La notte,
per definizione comune, doveva durare ancora qualche ora.
Dorothy,
istintivamente, cercò e prese la mano del suo compagno.
- Mi permette?
Mi pare di essere più tranquilla, così.
- Era sposata?
- Non ricordo
nulla, gliel’ho detto. Ma non credo. C’è un modo per sapere quando siamo morti?
- Ne so quanto
lei. Forse nei registri comunali è possibile reperire le notizie anagrafiche.
Io sono morto da quasi un anno.
- Dovrebbero
essere fogli elettronici. Io ricordo computer e stampanti. Forse lavoravo in un
ufficio.
James e Dorothy,
ormai esperti nell’arte della fuga, si ritrovarono ben presto al di fuori
dell’istituto. La mattina era piacevolmente fresca e il sole stava per sorgere
sul piccolo parco al di là del quale scorreva la strada statale.
La ragazza
stampò un bacio sulla guancia di James.
- In qualche
modo, lei mi ha ridato la vita. Da sola avevo solo paura.
- Forse, il
nostro problema è proprio questo. Non siamo fatti per stare da soli.
Cliveberry era
furioso, soprattutto con Andrew.
- Sei proprio
sicuro di aver chiuso a chiave questa, dannata, cella?
Tratto dal Mistero del Libro dimenticato - ogni diritto riservato
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