Cesar Vallejo è uno dei miei, pochissimi, poeti preferiti. come gli italiani Carducci e Montale. Per un romanziere, la poesia è un lusso da non potersi permettere.
Uno come me è abituato a fare della prosa una storia, un evento, un'intera collezione di avvenimenti e sentimenti.
Il poeta pensa tutto questo in musica e scrive versi che rispecchiano tale melodia. Ora, ritengo fondamentale, in questo mondo violentato dalle Elite, invocare per voi la Luce tramite la musica dei loro versi.
Di Vallejo mi piace ricordare versi carichi di sentimento struggente per una donna.
La versione originale e quella italiana più comune:
Idilio muerto
Qué estará haciendo esta hora mi andina y dulce Rita de junco y capulí;
ahora que me asfixia Bizancio, y que dormita
la sangre, como flojo cognac, dentro de mí.
Dónde estarán sus manos que en actitud contrita
planchaban en las tardes blancuras por venir;
ahora, en esta lluvia que me quita
las ganas de vivir.
Qué será de su falda de franela; de sus
afanes; de su andar;
de su sabor a cañas de mayo del lugar.
Ha de estarse a la puerta mirando algún celaje,
y al fin dirá temblando: «Qué frío hay... Jesús!»
y llorará en las tejas un pájaro salvaje.
Mi chiedo cosa stia facendo ora la mia dolce Rita delle Ande,
dei canneti e dei ciliegi selvatici.
Ora che questo tedio mi soffoca e il sangue mi si è assopito,
pigra acquavite del mio essere.
Mi chiedo cosa stia facendo con quelle mani che, quasi in penitenza,
eran solite stirare inamidati candori, nei pomeriggi.
Ora che questa pioggia mi porta via il desiderio di continuare.
Mi chiedo che ne è della sua gonna con gli smergli; dei suoi travagli;
della sua andatura; del suo profumo di canna da zucchero primaverile, di là.
Dev'essere sulla soglia, intenta a guardare una nuvola veloce.
Un uccello di macchia sui tegoli del tetto manda un richiamo;
E con un brivido lei dira, alla fine: "Gesù, che freddo!"
Cesar Vallejo, 1918
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