- Ne ho conosciuti altri
come lui. E’ gente sospesa nel tempo e racconta faccende incredibili. Qualcuno
è internato in prigioni o manicomi. Altri sono vagabondi come Luigi.
- Come sarebbe possibile? –
ripetei – tutto questo è folle... Si tratta di suo nonno, ne sono convinto.
Cassini mise in tasca la
fotografia senza commentare oltre.
- Jimmy, quante ne vedremo,
ancora, quaggiù? – gli chiesi, una volta in macchina.
- Uhmp… non ti è andata giù
la storia del nodo, eh? Se non altro so che ho fatto bene a portarti con me.
- Certo, a sciogliere nodi
gordiani. Io sono un piccolo cartomante che sopravvive a stento. Non sciolgo
nodi.
- Chi di noi può capire
persone come Luigi e giudicarli? Sapessi quanti di loro, la Chiesa ha
martirizzato.
- Non parlare a me di
religione. Sai come la penso.
- La religione è comunque
una risposta a una serie d’interrogativi dei quali l’uomo cercherebbe comunque
spiegazione. E forse non è la risposta peggiore.
Da Perugia a Spoleto, sono
circa sessantaquattro chilometri in auto, se si resta sulle strade statali. La
cittadina si trova all'estremità meridionale della Valle Umbra e si sviluppa
sul colle Sant'Elia, un basso promontorio collinare alle falde del Monteluco,
che raggiunge i quattrocento metri di altezza, nei pressi del fiume Clitunno e
più in basso fino alle rive del torrente Tessino; a est è contornata dai monti
che delimitano la Valnerina. Tutta la zona ha fortissima sismicità.
Arrivammo a metà pomeriggio.
La Rocca Albornoziana si stagliava sul cielo che stava per salutare il giorno. Sarei
voluto salire sul Ponte delle Torri, che unisce la Rocca al Monteluco, come
face Goethe, ma non avevo tempo.
Cassini fermò la macchina
presso il Palazzo Leti Sensi, un tempo dimora del Podestà.
Anche in questa città, le
autorità stavano ancora discutendo su come affrontare le difficoltà legate alla
ricostruzione post-terremoto e negli uffici del giornale locale, campeggiavano
avvisi vari sui convegni in programma proprio in quei giorni tra autorità e
rappresentanti delle realtà cittadine.
Cassini chiese di incontrare
un redattore a un tipo che stava portando alcuni fogli a un collega seduto
davanti un monitor. Aveva una trentina d’anni, capelli biondi pettinati
all’indietro e una barbetta indisponente a incorniciargli il mento.
- Hai trovato la persona
giusta. Con chi ho il piacere… - rispose, con aria interrogativa.
Cassini gli porse la mano da
stringere – Professor Cassini; ho la necessità di consultare i vostri archivi,
e in particolare gli articoli che trattano di incidenti stradali, qui in
Umbria, nella zona tra Perugia e Spoleto.
Ci fece sedere davanti ad un
monitor da diciannove pollici, collegato al server locale, dove fu necessario
andare a ritroso fino a dodici mesi prima per ritrovare un articolo che riportava
il decesso di Lelio Fortini, avvocato, avvenuto sulla E45 in direzione Perugia.
Si era schiantato contro un camion che trasportava paglia, con la sua moto,
probabilmente a causa di un malore.
Trasportato già morto in
ospedale, i medici non avevano potuto che accertare le cause del decesso
tramite referto autoptico.
- Abbiamo un nome – disse
Cassini, che aveva anche controllato l’indirizzo su internet dell’avvocato, non
trovandolo – E almeno sappiamo dove lavorava: Studio Fortini & Bellegra,
neanche troppo distante da qui.
Era sera e trovammo lo
studio ormai deserto, al secondo piano di una palazzina vicino la Chiesa di San
Salvatore. Lì accanto notammo una trattoria, prima dal profumo di cucina che
usciva dai battenti della porta di legno, a soli venti metri da dove eravamo.
Cenammo benissimo, con
spaghetti al tartufo nero, parmigiana di sedano di Trevi e un dolce
sensazionale, la crescionda, a base di uova, farina, cioccolato, amaretti e
mistral. La sorpresa fu al termine della cena, quando tornammo presso
l’automobile. La trovammo praticamente smontata, senza le ruote e con sportelli
e parafango a terra; il motore era stato pesantemente danneggiato e persino i
paraurti in metallo giacevano a terra. Nessuno nei dintorni, tranne un paio di
passanti che dissero a un Cassini infuriato di non aver notato nulla e di
essere lì per caso.
Passammo la notte alla
Locanda del Gufo, dopo aver chiamato la polizia. Il Maggiolone era in concreto
finito, e anche se il meccanico locale avesse provveduto a rimontarlo, trovare
un motore compatibile sarebbe stata un’impresa. Cassini era perplesso, mentre
ci salutavamo prima della nottata.
- Il messaggio mi pare sia
chiaro: non procedete su questa strada! – Aveva le occhiaie e, per la prima
volta da quando lo conoscevo, trasudava dubbi e incertezze da ogni poro.
- Semplicemente, ci seguono,
ci controllano e ci minacciano. Evidentemente, non hanno il coraggio di
metterci le mani addosso. – commentai, logicamente. In realtà, volevo confortare
il mio amico, che pareva sul punto di arrendersi.
Cassini si grattò il mento,
prima di aggiungere:
- Probabilmente, hai
ragione. Ma se riescono a seguirci passo passo, come potremo muoverci senza che
sappiano in anticipo le nostre intenzioni? E cominciassero a prendersela con i
vari testimoni? Se li uccidessero prima che possiamo incontrarli e
interrogarli?
- Forse dovremmo chiedere
l’assistenza di Ambrosetti o almeno una sorta di protezione…
- Non credo che il
procuratore sia in una posizione molto più facile della nostra. Mi ha in
pratica detto di cavarmela da solo. Questa setta, o questo gruppo di assassini,
sembra molto potente, nella zona. Potrebbe avere più influenza e appoggi di
quanto sospettiamo.
- Cosa pensi di fare?
- Domani mattina ci procureremo
una nuova vettura; poi, cercheremo di parlare con qualcuno dello studio dove
lavorava Lello Fortini. Intanto, invierò il mio primo rapporto a Roma, dove la
curia locale deve sapere quel che sta accadendo qui.
Mi ritirai nella mia stanza,
una camera con bagno annesso, al secondo piano della locanda, assicurandomi che
porta e finestre fossero ben chiuse; a questo proposito, piazzai una sedia di
legno sotto la maniglia della porta, per bloccarla, dopo aver chiuso il piccolo
catenaccio interno. Se il problema di quella gente, eravamo noi, non volevo
facilitare troppo il compito di metterci a tacere.
Quella notte non mi riuscì
di chiudere occhio; ma sentivo il russare quieto di Cassini, nella stanza accanto
alla mia. Non era uomo da perdersi d’animo in situazioni di lotta o di tensione
pesante, e forse temeva più per me che per la sua sorte.
Mi ritrovai a rimuginare gli
avvenimenti delle ultime giornate e non trovai un senso comune se non nella più
brutale logica che poteva muovere dei pazzi invasati nella speranza di placare
i sommovimenti della superficie terrestre con il sacrificio di alcuni
innocenti, peraltro, apparentemente scelti tra quanti avevano pochi mesi o anni
da vivere. Una volta scelta la vittima, s’introducevano in casa sua, la
sopprimevano con varie modalità e strappavano il cuore per poi usare il sangue
e scrivere le loro deliranti preghiere.
Per quanto assurda possa
sembrare una liturgia del genere, sia Cassini che io, sapevamo benissimo che
tale barbara usanza, era purtroppo ricorrente nella storia dell’umanità.
Esattamente come nei riti di magia nera, il sangue diventava veicolo per
comunicare con il mondo dove si riteneva fossero le divinità che si intendeva
evocare e nel contempo, si forniva loro l’energia utile a manifestarsi.
Inoltre, la sofferenza e il
terrore delle vittime aumentava la consistenza della materia sottile necessaria
a rinforzare proprio i demoni che collaboravano a tali procedure.
Quando l’uomo si trova a
manipolare gli effetti energetici dei riti occulti, talvolta si manifesta la
più assoluta ferocia e determinazione, costi quel che costi, a ottenere gli
effetti sperati.
Estratto dal romanzo SENZA CUORE, attualmente non pubblicato. I diritti a suo tempo concessi alla 0111 Edizioni sono stati revocati.
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