giovedì 28 settembre 2023

SENZA CUORE - estratto

 

- Ne ho conosciuti altri come lui. E’ gente sospesa nel tempo e racconta faccende incredibili. Qualcuno è internato in prigioni o manicomi. Altri sono vagabondi come Luigi.

- Come sarebbe possibile? – ripetei – tutto questo è folle... Si tratta di suo nonno, ne sono convinto.

Cassini mise in tasca la fotografia senza commentare oltre.

- Jimmy, quante ne vedremo, ancora, quaggiù? – gli chiesi, una volta in macchina.

- Uhmp… non ti è andata giù la storia del nodo, eh? Se non altro so che ho fatto bene a portarti con me.

- Certo, a sciogliere nodi gordiani. Io sono un piccolo cartomante che sopravvive a stento. Non sciolgo nodi.

- Chi di noi può capire persone come Luigi e giudicarli? Sapessi quanti di loro, la Chiesa ha martirizzato.

- Non parlare a me di religione. Sai come la penso.

- La religione è comunque una risposta a una serie d’interrogativi dei quali l’uomo cercherebbe comunque spiegazione. E forse non è la risposta peggiore.

Da Perugia a Spoleto, sono circa sessantaquattro chilometri in auto, se si resta sulle strade statali. La cittadina si trova all'estremità meridionale della Valle Umbra e si sviluppa sul colle Sant'Elia, un basso promontorio collinare alle falde del Monteluco, che raggiunge i quattrocento metri di altezza, nei pressi del fiume Clitunno e più in basso fino alle rive del torrente Tessino; a est è contornata dai monti che delimitano la Valnerina. Tutta la zona ha fortissima sismicità.

Arrivammo a metà pomeriggio. La Rocca Albornoziana si stagliava sul cielo che stava per salutare il giorno. Sarei voluto salire sul Ponte delle Torri, che unisce la Rocca al Monteluco, come face Goethe, ma non avevo tempo.

Cassini fermò la macchina presso il Palazzo Leti Sensi, un tempo dimora del Podestà.

Anche in questa città, le autorità stavano ancora discutendo su come affrontare le difficoltà legate alla ricostruzione post-terremoto e negli uffici del giornale locale, campeggiavano avvisi vari sui convegni in programma proprio in quei giorni tra autorità e rappresentanti delle realtà cittadine.

Cassini chiese di incontrare un redattore a un tipo che stava portando alcuni fogli a un collega seduto davanti un monitor. Aveva una trentina d’anni, capelli biondi pettinati all’indietro e una barbetta indisponente a incorniciargli il mento.

- Hai trovato la persona giusta. Con chi ho il piacere… - rispose, con aria interrogativa.

Cassini gli porse la mano da stringere – Professor Cassini; ho la necessità di consultare i vostri archivi, e in particolare gli articoli che trattano di incidenti stradali, qui in Umbria, nella zona tra Perugia e Spoleto.

Ci fece sedere davanti ad un monitor da diciannove pollici, collegato al server locale, dove fu necessario andare a ritroso fino a dodici mesi prima per ritrovare un articolo che riportava il decesso di Lelio Fortini, avvocato, avvenuto sulla E45 in direzione Perugia. Si era schiantato contro un camion che trasportava paglia, con la sua moto, probabilmente a causa di un malore.

Trasportato già morto in ospedale, i medici non avevano potuto che accertare le cause del decesso tramite referto autoptico.

- Abbiamo un nome – disse Cassini, che aveva anche controllato l’indirizzo su internet dell’avvocato, non trovandolo – E almeno sappiamo dove lavorava: Studio Fortini & Bellegra, neanche troppo distante da qui.

Era sera e trovammo lo studio ormai deserto, al secondo piano di una palazzina vicino la Chiesa di San Salvatore. Lì accanto notammo una trattoria, prima dal profumo di cucina che usciva dai battenti della porta di legno, a soli venti metri da dove eravamo.

Cenammo benissimo, con spaghetti al tartufo nero, parmigiana di sedano di Trevi e un dolce sensazionale, la crescionda, a base di uova, farina, cioccolato, amaretti e mistral. La sorpresa fu al termine della cena, quando tornammo presso l’automobile. La trovammo praticamente smontata, senza le ruote e con sportelli e parafango a terra; il motore era stato pesantemente danneggiato e persino i paraurti in metallo giacevano a terra. Nessuno nei dintorni, tranne un paio di passanti che dissero a un Cassini infuriato di non aver notato nulla e di essere lì per caso.

Passammo la notte alla Locanda del Gufo, dopo aver chiamato la polizia. Il Maggiolone era in concreto finito, e anche se il meccanico locale avesse provveduto a rimontarlo, trovare un motore compatibile sarebbe stata un’impresa. Cassini era perplesso, mentre ci salutavamo prima della nottata.

- Il messaggio mi pare sia chiaro: non procedete su questa strada! – Aveva le occhiaie e, per la prima volta da quando lo conoscevo, trasudava dubbi e incertezze da ogni poro.

- Semplicemente, ci seguono, ci controllano e ci minacciano. Evidentemente, non hanno il coraggio di metterci le mani addosso. – commentai, logicamente. In realtà, volevo confortare il mio amico, che pareva sul punto di arrendersi.

Cassini si grattò il mento, prima di aggiungere:

- Probabilmente, hai ragione. Ma se riescono a seguirci passo passo, come potremo muoverci senza che sappiano in anticipo le nostre intenzioni? E cominciassero a prendersela con i vari testimoni? Se li uccidessero prima che possiamo incontrarli e interrogarli?

- Forse dovremmo chiedere l’assistenza di Ambrosetti o almeno una sorta di protezione…

- Non credo che il procuratore sia in una posizione molto più facile della nostra. Mi ha in pratica detto di cavarmela da solo. Questa setta, o questo gruppo di assassini, sembra molto potente, nella zona. Potrebbe avere più influenza e appoggi di quanto sospettiamo.

- Cosa pensi di fare?

- Domani mattina ci procureremo una nuova vettura; poi, cercheremo di parlare con qualcuno dello studio dove lavorava Lello Fortini. Intanto, invierò il mio primo rapporto a Roma, dove la curia locale deve sapere quel che sta accadendo qui.

Mi ritirai nella mia stanza, una camera con bagno annesso, al secondo piano della locanda, assicurandomi che porta e finestre fossero ben chiuse; a questo proposito, piazzai una sedia di legno sotto la maniglia della porta, per bloccarla, dopo aver chiuso il piccolo catenaccio interno. Se il problema di quella gente, eravamo noi, non volevo facilitare troppo il compito di metterci a tacere.

Quella notte non mi riuscì di chiudere occhio; ma sentivo il russare quieto di Cassini, nella stanza accanto alla mia. Non era uomo da perdersi d’animo in situazioni di lotta o di tensione pesante, e forse temeva più per me che per la sua sorte.

Mi ritrovai a rimuginare gli avvenimenti delle ultime giornate e non trovai un senso comune se non nella più brutale logica che poteva muovere dei pazzi invasati nella speranza di placare i sommovimenti della superficie terrestre con il sacrificio di alcuni innocenti, peraltro, apparentemente scelti tra quanti avevano pochi mesi o anni da vivere. Una volta scelta la vittima, s’introducevano in casa sua, la sopprimevano con varie modalità e strappavano il cuore per poi usare il sangue e scrivere le loro deliranti preghiere.

Per quanto assurda possa sembrare una liturgia del genere, sia Cassini che io, sapevamo benissimo che tale barbara usanza, era purtroppo ricorrente nella storia dell’umanità. Esattamente come nei riti di magia nera, il sangue diventava veicolo per comunicare con il mondo dove si riteneva fossero le divinità che si intendeva evocare e nel contempo, si forniva loro l’energia utile a manifestarsi.

Inoltre, la sofferenza e il terrore delle vittime aumentava la consistenza della materia sottile necessaria a rinforzare proprio i demoni che collaboravano a tali procedure.

Quando l’uomo si trova a manipolare gli effetti energetici dei riti occulti, talvolta si manifesta la più assoluta ferocia e determinazione, costi quel che costi, a ottenere gli effetti sperati.

Estratto dal romanzo SENZA CUORE, attualmente non pubblicato. I diritti a suo tempo concessi alla 0111 Edizioni sono stati revocati.

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