5. Non rientrai subito in camera. Ero nervoso e cominciai a passeggiare intorno all'isolato del mio albergo, lentamente, peraltro con lo stomaco pieno. Mi portavo dietro il sacchetto di carta con i cornetti caldi e guardavo mamme frettolose trascinare carrozzine verso gli asili nido, lavoratori indaffarati con i cambi delle automobili cercare di inoltrarsi nelle vene di traffico dirette verso il centro della città e vecchi pensionati passeggiare con andatura solenne e le mani dietro la schiena.
Ero uno dei tanti esseri umani che si confondeva nella folla istericamente impegnata a muoversi verso i luoghi di lavoro mentre l'orologio mattutino segnava il ritmo frenetico di una grande città che era cresciuta e sviluppata suo malgrado.
Roma subiva quel movimento mattutino con l'ansia di una vecchia nobile troppe volte stuprata. I cumuli d'immondizia accanto ai cassonetti strapieni ne erano una delle testimonianze più evidenti. Gabbiani, piccioni, topi e cinghiali ne infestavano le periferie, oltre ai pochi cani randagi, troppo vicini all'uomo per iniziare una vita nomade dentro l'abitato.
I rumori dei clacson, le imprecazioni dei tassisti, il rumore dei motori componevano un'orchestra di suoni talmente abituali che quasi non si distinguevano più. Eravamo tutti immersi nelle nostre abitudini mentali, ancor prima di dover misurare con l'andatura passi che dovevano districarsi sui marciapiedi sporchi, pieni di buche e interrotti da intere sezioni occupate da lavori stradali perennemente in corso.
Quando ci troviamo in zone poco usuali, possiamo più facilmente essere in stato di allerta, ed è quasi conseguente riuscire ad analizzare elementi della nostra visuale con maggior concentrazione. Vidi tuttavia solo con la coda dell'occhio che una saetta aveva sorpassato la mia figura, andando a conficcarsi in un grande vaso di viole.
Il fioraio uscì come un ossesso dal negozio e fissò il vaso trafitto da una piccola freccia metallica.
- Ma guarda... Lei... lei ha visto? - mi domandò. Era un uomo con una grande pancia, semi calvo, e con l'aria più interrogativa che avessi notato su un volto maschile da molto tempo.
- Ehm... effettivamente pare che qualcuno avesse mirato alla mia schiena.
Il vaso era su un tavolo metallico all'esterno del fioraio, vicino a un vaso di gerani e a quello che ospitava una bellissima pianta verde dall'aspetto esotico.
Mi voltai ma non vidi nessuno. L'arciere che aveva mirato maldestramente alla mia figura doveva trovarsi in linea con la mia andatura. Tornai indietro ma i portoni che vidi erano chiusi dall'interno.
L'uomo uscito dal negozio mi fissava con le mani sui fianchi.
- Caro signore, penso volessero ucciderla. Quella freccia non ha l'aria di uno scherzo. - sentenziò - Dovrebbe chiamare la polizia. Posso testimoniare, oltre a chiedere il rimborso del vaso. Dovrebbe fornirmi i suoi dati.
- Vuole che paghi i danni del mio attentatore?
- Perdoni l'insistenza, ma chi mi ripaga? Ha qualche idea?
Gli confessai di nn avere idee in merito e quello si attaccò al suo cellulare. Mi sedetti all'interno del negozio anche perché non mi sembrava igienico tornare sulla strada. C'erano due sedie di plastica accanto a un tavolino con una cassa elettronica per i pagamenti sopra.
- Vogliono sapere il suo nome. - chiese il fioraio con il cellulare in mano.
- Gli dica Mister Tau, mi conoscono così.
La pattuglia arrivò dopo un quarto d'ora e iniziarono domande e rilevamenti.
Una poliziotta bionda compilò le mie dichiarazioni all'interno di un documento nel pad di servizio dopo aver ricevuto la mia carta d'identità elettronica che tuttavia era una specie di bancomat di plastica.
Un suo collega asserì che dovevano sequestrare il vaso che del resto pesava almeno cinquanta chili con tutta la pianta di viole.
Il fioraio espresse chiaramente il suo parere contrario e fece verbalizzare che attendeva il ristoro del danno subito, pianta di viole inclusa.
Dichiarai che ero stato costretto ad allontanarmi dal mio domicilio su consiglio del mio amico, professor Cassini, in quanto ero stato oggetto di attentati alla mia persona. Fornii il suo recapito e il mio, consistente nell'indirizzo della pensione, poi rifiutai di rispondere ad altre domande, del resto, completamente idiote, del tipo: non ha sospetti su chi possa aver scagliato quel dardo?
Avevo già ricevuto le debite istruzioni da Cassini su come comportarmi nel caso fossi stato raggiunto dal mio misterioso nemico. L'unica domanda alla quale avrei voluto trovare io stesso una risposta, era: mi aveva sfiorato appositamente, a mo' di minaccia oppure aveva semplicemente sbagliato mira nello scagliare quella piccola freccia metallica?
Continua.
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