Vi propongo oggi un piccolo estratto dal romanzo giallo-fantastico LA DONNA CHE NON C'ERA. Se conoscete qualche editore, specialmente uno di quelli che monopolizzano gli spazi e gli scaffali delle librerie italiane, potete ringraziarlo se questo romanzo non lo leggerete mai.
Gli editori italiani di un certo tipo sono troppo occupati a pubblicare incapaci o raccomandati per proporre, al contrario, gialli come questo. Buona lettura comunque.
Uno
smeraldo in un pugno di zaffiri: così l’aveva definita qualcuno, un personaggio
che non riuscivo a rammentare. In effetti, l’Isola Verde confermava in pieno il
suo nome. La costa che avevo potuto vedere, e quindi la spiaggia orientale, era
contornata da una foltissima vegetazione che inghiottiva la sabbia, quasi che
fosse la cura per il male che produceva accarezzare l’Oceano. La terra che reclamava il
suo diritto di esistere.
Cento metri più in avanti, l’acqua oceanica più meravigliosamente splendente che avessi mai incontrato. Mi era venuto in mente che tutto quello splendore non poteva essere naturale: sembrava invece che milioni di pietre preziose depositate sul fondale fossero esaltate dal sole subtropicale.
L’aria era tersa ma molto più fresca di quanto mi sarei aspettato, quando fui tratto a bordo per mezzo di un canotto e portato a terra per mezzo di una sorta di barella, con il mondo che mi era ancora rimasto sullo stomaco.
Avevo sentito dire, in spagnolo, che ero stato molto fortunato a salvarmi dal naufragio dell’elicottero. E se lo dicevano i miei salvatori, potevo anche credergli.
Altre
imbarcazioni stavano seguendo noi. Dall’Ulisse, dovevano trasportare a terra
provviste, viveri e materiale scientifico destinato alla base strategica, come
la chiamavano i marinai che mi avevano trovato mezzo morto, galleggiare
nell’acqua ormai quasi ferma.
Vidi,
in lontananza, vicino un piccolo faro, due uomini in divisa militare. Ma dopo
un minuto circa dal momento in cui avevo posato i piedi sulla sabbia fine, ebbi
un altro attacco, e il mondo vacillò fino a rivoltarsi sottosopra.
Dopo
un secolo o un secondo, riaprii gli occhi proprio su una parete, alla mia
sinistra. Era di legno? No, era semplicemente rivestita da pannelli di un bel
legno scuro, che conferivano alla baracca un aspetto caldo e confortevole. Ero
steso sul dorso ma avevo la necessità di capire dov’ero finito e con qualche
sforzo, mi costrinsi a sedere su quella brandina. In effetti, non ero solo.
Roteando
gli occhi, con il collo che mi faceva male, vidi una ventina di persone; chi
seduto su sedioline di bambù, chi in piedi, immobili e assolutamente muti; in
quella stanza neanche troppo vasta, mi davano la scomoda sensazione di
togliermi l’aria. I loro occhi me li sentivo addosso quasi che lo sguardo
potesse toccarmi.
«Si
è ripreso…» sentii pronunciare da una voce vellutata che mi sembrò fosse quella di una
ragazza di colore, in piedi accanto alla brandina. Aveva un bel viso tondo, più
che altro connotato da lineamenti tipici delle popolazioni africane, e due grandi
occhi neri molto espressivi. Parlava in spagnolo ma pareva originaria del mondo anglosassone.
Fui
costretto a socchiudere le palpebre che si erano fatte pesanti come macigni. La
voce vellutata arrivò ancora alle mie orecchie ma vedevo solo il buio, poi annegai
in un mare di tepore soffocante.
Sognai,
o forse no, strane grida, suoni non distinguibili, sussurri provenire da
regioni remote; avevo gli occhi chiusi ma pensai che, se non già notte, doveva
comunque aver fatto buio. Solo di notte, la giungla sub tropicale si agita in
quel modo. Non c’ero mai stato, in ambienti come quelli che proponeva l’Isola Verde, eppure lo
sapevo bene.
Un tranquillo uomo di città, immerso in un ecosistema che non dovrebbe conoscere, che faticava ad ambientarsi.
Potevo
muovermi, e allora cercai di alzarmi, ricadendo a sedere. Ci riprovai, più
lentamente, e stavolta riuscii a riconquistare la postura eretta. Ero preda di
un tremendo torpore mentale ma soprattutto fisico. Forse mi avevano
narcotizzato? O si trattava semplicemente degli effetti del naufragio?
Dopo
qualche passo incerto, una luce terribile invase il mio spazio visivo, costringendomi
a proteggere gli occhi con la mano destra. Avevo percepito passi lievi sulle
assi di legno e sentii subito dopo una mano fresca sulla mia fronte. Parole
appena sussurrate, nel solito spagnolo in stile anglofono, da una giovane
femmina.
«È
riuscito a mettersi in piedi… Come si sente?»
Disse
ancora qualcosa ma il mondo non voleva stare dritto, c’era poco da fare.
Avrei
voluto restare con lei, capire quel che mi stava dicendo. Realizzai invece che
provenivo dal buio e mi stavo dissolvendo nel nulla. Non era la luce, la verità
risiedeva nel buio.
Dieci
stringhe di luce perforavano la stanza. Ero certo di non aver sognato.
Mi
sentivo un umo nuovo, e mi alzai subito in piedi, dopo aver riconosciuto la
stanza e la solita branda.
Mi
accorsi di essere vestito da una camicia di lino e pantaloni leggeri, tipo jeans.
Infilai i piedi nelle scarpe di tela che vidi accanto al letto e andai a
spalancare le imposte di legno. Luce a aria profumata di fiori tropicali e
salsedine invase la stanza.
Aspirai
con voluttà quei profumi. Mi sentivo finalmente benissimo e avevo un gran
appetito.
«Che
dormiglione!» sentii dire, stavolta, in inglese, dalla solita voce femminile.
Mi
voltai verso la porta di quell’ambiente largo non più di sedici metri quadrati, focalizzando lo sguardo sulla ragazza di colore, forse meticcia, che già conoscevo.
Lunghi
capelli corvini, grandi occhi neri e una voce gioviale. Poteva avere una
trentina d’anni, slanciata ma non alta e mi tendeva la mano che strinsi. Era
proprio fresca e soave come la ricordavo, sulla mia fronte.
Mi
colpì la sua divisa, praticamente di tipo militare ma che non seppi associarla
all’esercito di alcun paese.
«Sheyla
Hansen, caporale medico degli Stati Uniti.» si presentò, sorridendo «E lei si
chiama Tau, vero?»
Le
risposi in inglese:
«Mi
pare di sì…Non avete ritrovato i miei documenti, vero?»
«Infatti,
non li abbiamo ritrovati. Ma sussurrava il suo nome mentre dormiva, forse
sognando. Tau è un nome italiano o greco?»
Non
lo ricordavo. Non ricordavo quasi niente di me e del motivo della mia
permanenza in quel luogo. La mia mente era un oceano calmo di acque quasi
ferme.
La
ragazza notò il mio imbarazzo e sorrise di nuovo:
«Oh,
non si preoccupi! Ricorderà presto. Abbiamo recuperato qualche altro naufrago,
su queste spiagge, in passato. Per ora, lei è mister Tau e tanto basta.»
«Già…
Mi ha riportato a riva un equipaggio dell’Ulisse, vero?»
«E’
la nave che assicura all’isola rifornimenti costanti, una volta ogni due
settimane. Ma ora, lei ha bisogno di mangiare. A più tardi, con le successive
spiegazioni.»
Aveva
il classico fare risoluto di una dottoressa o di un’infermiera esperta.
Mi
prese per mano e mi portò fuori da quella stanza, praticamente una sorta di
infermeria, e dopo aver attraversato un ambiente caratterizzato da armadietti
pieni di scatole e barattoli, che avevano tutta l’aria di essere medicine,
entrammo in un vasto locale arredato con mobili in bambù e suppellettili
squisitamente artigianali, quasi tutte in legno di vimine. Vidi anche qualche
elemento di legno scuro soprattutto librerie basse e zeppe di libri ben
ordinati, con le copertine in inglese. Sopra di queste, erano appesi alle
pareti di quella stanza, piatti variopinti e alcune maschere indigene
coloratissime.
La
mia attenzione fu comunque catturata da una tavola di bambù, riccamente apparecchiata,
al centro della stanza.
«Spero
apprezzerà la mia cucina: sono ventisette ore che beve solo l’acqua che sono
riuscita a infilarle in bocca…»
Non
mi feci pregare e mi sedetti a quella tavola per gustare il ben di dio che
vedevo tra frutti tropicali, una sorta di pane fritto nell’olio di palma, e
dolci ricoperti di cocco, lasciando da parte il vassoio di pesce arrostito
posato sulle solite foglie di palma.
Sheyla
era seduta accanto a me, sorvegliando la mia voglia di nutrirmi.
«Il
pesce è fresco, pescato stamattina e arrostito da me…»
«Non
ne dubito, ma non riesco a mangiarlo. Questa frutta, però, è deliziosa.»
«Non
ricorda molto di sé stesso, vero? Ma non s’ impressioni, è lo shock. Mangi pure
quel che riesce a deglutire.»
«Non
ricordo molto… di nulla. Ma devo ringraziarla per le sue attenzioni. Sto
parlando con una dottoressa in medicina?»
«Da
poco. Ho completato l’abilitazione e sono venuta qui, secondo l’offerta che ho
accettato anni fa. In fondo, la paga era buona per restare ventiquattro mesi a
disposizione della guarnigione statunitense. Non me ne sono più andata.»
estratto dal romanzo LA DONNA CHE NON C'ERA
Nessun commento:
Posta un commento