mercoledì 2 ottobre 2024

SOLO DI NOTTE, un estratto

 

Offro un estratto dal romanzo SOLO DI NOTTE. Questo libro non potete leggerlo a causa della decisione di un gruppo di persone che pensa di praticare il mestiere dell'editore e purtroppo occupa con le proprie pubblicazioni gli scaffali delle librerie italiane, senza meritarlo troppo. 

Si tratta di gente che vi impone di leggere tutta la spazzatura del genere noir che proviene dall'estero. Per questi signori, poi, è degno di pubblicare tra gli autori nostrani chiunque possa risultare simpatico a potenti, politici e amministratori vari. Cercare meritocrazia nella produzione letteraria di genere in Italia significa dover assumere gli emuli di un Diogene nostrano. Badate che abbia una lanterna potente. 

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Il fascicolo sulla scrivania di Iannaccone pesava almeno cinque chili. In gioventù aveva lavorato in un archivio e sapeva valutare il peso di un fascicolo o di una cartella chiusa con l’elastico, solo guardando quella massa di carta o cartone.

Aperto il fascicolo, l’uomo vide due distinte cartelle color crema. La più corposa, riportava in copertina l’elenco di una ventina di documenti, e il nome “RENZI” scritto con un pennarello rosso.

Sull’altro fascicolo, invece, il nome scritto con il pennarello rosso era “LUNA”.

Iannaccone sbuffò, seccato. Sapeva già, più o meno, di cosa si trattasse.

Ogni volta che il suo capo gli affibbiava un caso, quasi sempre il più noioso del mazzo, prima inviava per e-mail una scheda riassuntiva, poi faceva recapitare nel suo ufficio la documentazione cartacea necessaria. Di solito, tra la mail e la consegna del fascicolo passavano poche ore. Il corriere cittadino ne impiegava al massimo dodici per consegnare i pacchi, se era un periodo di particolare traffico.

E invece, stavolta, il pacco era pervenuto dopo appena tre ore dalla sua consegna. Milano era ancora intorpidita dalla clausura forzosa imposta dall’emergenza sanitaria in atto durante i giorni peggiori dell’infezione da Coronavirus e quindi il corriere aveva solo fame di lavoro.

Insomma, Iannaccone temeva proprio di doversi svegliare presto, la mattina successiva, dato che tra la email delle dodici e la consegna delle quindici e quindici, era trascorso un periodo sufficiente a comprendere di cosa si trattasse. Non gli restava che  leggere quelle carte.

Niente di quel che aveva fatto in sei anni di collaborazione con la Securtas Associati lo aveva affascinato particolarmente. Ma non era colpa dei suoi datori di lavoro.

In Italia, l’attività degli investigatori privati si limita alle beghe pre-matrimoniali e post matrimoniali, qualche indagine su minorenni un po’ troppo vivaci oppure, nel migliore dei casi, su dipendenti che per arrotondare si vendono segreti industriali alla concorrenza. Roba da far annoiare anche un tipo pigro come lui.

Manu glielo diceva sempre: Ianna, tu invecchierai e morirai riposato se continui così.

L’accusa era sempre la stessa: si rimboccava le maniche solo quando lei si faceva trovare pronta e profumata, dopo la doccia serale. E quando eventi come questo si fecero sempre più radi, l’uomo si chiese come mai. Quando lo chiese a lei, Manuela, dottoressa in sociologia, piangendo gli consegnò l’esito di alcune analisi.

Iannaccone imparò in quel periodo che certi tumori non ti lasciano neanche il tempo di cercare un’improbabile cura, una qualsiasi improbabile cura. Sei mesi dopo, di Manu restavano i ricordi e un armadio di vestiti profumati come lei da tenere ben chiuso in camera da letto.

Tre camere nella periferia milanese e un mutuo da finire di pagare. Ecco quanto restava di un matrimonio quasi felice all’investigatore più pigro e sfigato del pianeta Terra, o almeno dell’industriosa Lombardia ancora ferita dal coronavirus.

Per prima cosa, si era detto di dover tagliare le spese. Il suo stipendio, fisso e con bonus a seconda dei casi risolti, gli bastava per pagare le rate del mutuo; restava l’affitto dell’ufficio, le bollette di ufficio e casa, e il condominio di ufficio e casa. Senza lo stipendio della moglie, come diavolo poteva riuscire a pagare quelle cifre, non riusciva proprio a immaginarlo. Bene che fosse andata, l’oro che avevano messo da parte in due sarebbe bastato per sei mesi appena anche se avesse deciso di mangiare un panino pranzo e cena.

Niente birra, niente televisione per il calcio, niente scommesse e giornali sportivi, niente di niente.

Doveva farsi venire in mente qualcosa esattamente come la metà dei suoi connazionali dopo la crisi sanitaria. 

Innanzitutto, non si liberò dell’ufficio, abbastanza centrale e ben collegato, e lo sub-affittò a un’impresa di contabilità che cercava un alloggio per un suo dirigente. In nero riceveva un terzo in più di quanto versava per l’affitto e quindi poteva disporre di una somma sufficiente a pagare anche le bollette di casa. Doveva avere un’altra piccola entrata per quei vampiri del condominio e per la sopravvivenza quotidiana. Gli servivano circa millecinquecento euro al mese in più. Ovvero, gli serviva un miracolo.

Di fare straordinari, non se ne parlava. Non poteva lamentarsene con la Securtas dato che avrebbero impiegato meno di mezza giornata per trovare il suo sostituto. E allora, sarebbero stati guai veri. 

Aveva una stazza troppo ingombrante per lavorare davvero e che comunque andava tenuta a dovere. Un centinaio di chili con più ciccia che muscoli, una calvizie che cercava di nascondere facendo crescere i capelli e la barba che aveva cominciato a non radere perché la mattina si svegliava tardi. La faccia da buono era un altro orpello non necessario.

Senza Manu, in casa, non funzionava più niente. E il letto era freddo come l’interno del frigo che aveva acquistato poco prima che lei se ne andasse per sempre. Le medicine, che non avevano fatto effetto, e gli antidolorifici, dovevano essere tenuti al fresco.

Iannaccone pensava che fosse stato troppo bello che quella fata si fosse invaghita di lui. Avevano la stessa età, quando si erano conosciuti a casa del fratello, in quel di Brindisi, ma lei sembrava la Fata Turchina e lui un pinocchio qualunque.

Lo trovava simpatico.

Dio mio, perché me l’hai tolta?

Si poneva, spesso, questo semplice quesito, prima di inviarlo a destinazione con la mente, soprattutto prima di aprire una bottiglia di birra.

Le cose belle durano poco, si rispondeva in attesa che il destinatario di tale domanda trovasse il tempo per risolvere il suo dubbio. Poi, inevitabilmente, ripassava l’album mentale di ogni momento felice trascorso con Manu, mentre la birra, piacevole come le carezze che ricordava, rinfrescava la sua gola arsa dalla malinconia.

Bionda come lei, pensava, la birra è sempre la birra.

Dato che aveva trasferito l’ufficio a casa, nel soggiorno, Iannaccone fece pochi metri per andare a frugare nel frigo. La birra era appena fresca, esattamente come la preferiva lui.

Con la bottiglia e un bicchiere tornò alla scrivania, di legno nero, imponente e robusta. Avrebbe voluto accendere radio o televisione, ma si costrinse a concentrarsi  su quel dannato, duplice, caso.

Roba da nera, pesante, cupa, si diceva. Come diavolo poteva finire sulla scrivania di un piccolo, ridicolo, investigatore malinconico e in sovrappeso come lui?

La faccenda era iniziata anni prima, quando un funzionario della Digos era impazzito e aveva fatto una strage, a casa dell’amante, uccidendo tutti i partecipanti di un party un po’ vivace finché non aveva finito il caricatore della pistola d’ordinanza. C’è gente che preferisce collettivizzare anche la sessualità. E c’è chi, evidentemente, non apprezza certe effusioni se vedono coinvolta la donna amata.

Dopo due processi, un mare di perizie e altre amenità che Iannaccone trovava troppo noiose da leggere, la fine della vicenda aveva visto l’assassino inizialmente internato in un manicomio giudiziario; e alla fine, subire l’ergastolo nonostante la semi infermità mentale. Fine del fascicolo numero uno. Sulla terza di copertina, vide scritto in rosso: LA NOTTE COMUNE.

Ricordava alcuni titoli di giornale dell’epoca. Mah…

 Fascicolo numero due, quello semplicemente intitolato: LUNA. Il caso riguardava la strana avventura vissuta da una poliziotta romana, esattamente quindici anni dopo il caso Notte Comune. Il tutto, era avvenuto tre anni prima, calcolati da quel momento, ragionò.

Stavolta, la poliziotta in servizio presso la questura di Roma, aveva dovuto occuparsi della vicenda su incarico di un procuratore della Repubblica che non ci vedeva chiaro sui fatti avvenuti quindici anni prima. La Notte Comune era tornata a pretendere le sue vittime dato che la nuova inchiesta romana era finita male. Tra l’altro, in quel fascicolo era specificato che un’ispettrice e un commissario della questura avevano perso la vita esattamente nella sparatoria di quindici anni prima…

La birra non riusciva a schiarire i pensieri di Iannaccone. Quella storia era davvero strana.

La poliziotta si era messa a indagare e senza saperlo aveva scoperchiato un vespaio mica male. Nel fascicolo erano riportare le conclusioni risultanti dall’indagine interna che aveva stabilito che proprio lei aveva perso la testa a causa di problemi personali. Era in seguito deceduta in un incidente automobilistico vicino Firenze.

Anche se il caso era stato assegnato a un altro collega, la donna aveva voluto insistere. Guardò la fotografia della poliziotta deceduta: capelli corti tagliati da maschio, mascella serrata e pelle diafana. Una bella ragazza che non sembrava una ragazza. Luna era il suo soprannome.

Il cliente della Securtas voleva saperne qualcosa. La vicenda umana della poliziotta era finita nell’incidente, ma l’ex funzionario della Digos era ancora vivo, in carcere. Regime di massima sicurezza per un maniaco omicida? A Iannaccone sembrava strano. Vide sulla terza di copertina del secondo fascicolo la solita scritta in rosso: LA NOTTE COMUNE – LUNA.

La birra fece effetto prima del previsto e i suoi occhi si appesantirono troppo in fretta. Si alzò dalla scrivania per piombare sull’amico divano, che accolse la sua stazza senza lamentarsi. Un po’ come faceva Manu, pensò amaramente.

Dio mio, perché me l’hai tolta?

brano estratto dal romanzo SOLO DI NOTTE


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