Mi tormentava la figura di Salbeni, che non sapevo inquadrare e tantomeno giustificare in maniera razionale. Ma un fantasma non lo era, di certo.
Poteva
trattarsi di un attempato burlone, con la mania della cultura e il vizio di
fare scherzi. Tuttavia, il tono che usava era stranamente convincente e persino
ipnotico. Riusciva a non farti pensare ad altro che alle sue parole. Un
politico nato.
Scesi
poco più tardi per attendere il fattorino che suonò il clacson verso le
diciassette e quaranta. Andai verso l’uscita sul retro, dove da un cortile
interno con accesso sulla strada, si effettuavano le operazioni di carico e
scarico merci in comune con l’azienda manifatturiera che utilizzava la parte
posteriore della palazzina.
Il tempo
era notevolmente migliorato ma la sera era ormai calata. Spiegai al ragazzo
dove volevo andare e lui mi fissò per un attimo dallo specchietto retrovisore.
- Sicuro
di voler andare laggiù? Sono quattro case e poca gente… Va forse a trovare
qualche parente?
-
Un’amica, una vecchia amica.
Bofonchiando
qualcosa che non compresi, il fattorino cominciò a guidare e dopo qualche
minuto già eravamo davanti una bassa villetta quasi isolata nel bosco ma in
realtà a pochi passi dalle altre abitazioni.
Secondo Salbeni, lì avrei trovato una cugina di secondo grado del mio
scrittore preferito.
La
località citata da Salbeni, Le Farine, dista circa due chilometri e mezzo da
Viterbo, a 316 metri sul livello del mare, e conta poche decine di abitanti. È
raggiungibile tramite la strada regionale numero due in pochi minuti.
Scesi
dall’auto, chiudendo bene il giaccone pesante che indossavo; il freddo era
intenso e una nebbia stranissima saliva dal suolo umido.
Bussai
alla porta di legno dipinto di verde che senza altro movimento o tocco da parte
mia, all’improvviso si spalancò, mostrando un incredibile giardino illuminato
dalla luna.
Aiuole
ben curate facevano da cornice a una fontana bianca senz’acqua, circondata da
un vialetto circolare che sembrava procedere verso la luna, ora veramente
grande, vicina, pallida più che mai.
La porta
che avevo visto dava quindi su quel giardino e in fondo al vialetto, alla luce
lunare, vidi una piccola costruzione circolare di un solo piano, con tre
finestre e in mezzo una porta ad arco.
Pensai
di vivere una sorta di allucinazione, eppure l’aria fredda mi faceva bruciare
le guance e i miei passi su quel vialetto erano più che reali. Arrivato, dopo
pochi metri, all’edificio non più grande di una tipica villetta, attraversai la
porta ad arco, aperta, e vidi una signora seduta su una carrozzella per
invalidi, intenta a fare la maglia, usando due ferri. Dentro il camino, accanto
a lei, ardeva un bel fuoco di rami secchi, profumato da alcune bacche
silvestri.
-
Benvenuto nella mia capanna – sussurrò la vecchina, senza distogliere lo
sguardo dal suo lavoro.
Guardai
per un attimo l’arredamento di legno di quercia, molto scarno e ridotto
all’essenziale: un tavolo e quattro sedie ed una credenza dall’altra parte
della stanza.
-
Buonasera. Chiedo scusa per il disturbo, ma… - All’improvviso mi resi conto che
non avevo nulla da chiedere o da chiarire.
Era una
situazione non convenzionale. Mi trovavo comunque in casa di una vecchia
signora e pensai di dover mostrare il massimo rispetto.
- Fa
freddo, lì fuori? – domandò lei.
- Oh,
abbastanza. Ma qui vedo che il camino assicura un certo ristoro.
- In una
serata come questa, venire in un posto come questo, deve costare non poca
energia e non poca pazienza… - sentenziò, con voce querula.
Era
evidente che mi stava prendendo in giro.
- Posso
rivolgerle qualche domanda su Mario Signorelli?
La
vecchia signora alzò finalmente gli occhi dal suo lavoro, ma io non li vidi.
Dietro gli occhialini tondi, io non vidi i suoi occhi ma solo orbite vuote.
- Ma
figliolo mio, il tempo non dà spiegazioni. Sarebbe come chiedere il motivo del
perché le acque di un fiume scorrono, o perché il vento segue la sua strada dai
monti alle pianure. Certe cose accadono e basta; così come certe persone
nascono, vivono, muoiono, e basta.
- Ehm,
devo arguire che non vuole parlare di questo, suo, concittadino? Posso sapere
il motivo?
La
vecchina tornò a concentrarsi sul suo lavoro a maglia.
- Era
uno dei tanti. Siete così interessati ai vostri simili, sempre intenti a
scrivere memorie, biografie, resoconti, come se il vostro destino dipenda
veramente dalle azioni che concepite e che poi eseguite… Vi rivoltate
all’interno delle vostre comunità, come i vermi si rivoltano nella melma.
Ponete le vostre brevi, tremule vite, in perenne confronto con le altre come se
davvero possa importare a qualcuno o a qualcosa tutto questo tramestio. Molto
rumore per nulla disse uno di voi che mi pensava spesso.
-
Capisco. Ma devo portare a termine un lavoro – cercai di giustificarmi – volto,
essenzialmente, ad evitare che il tempo seppellisca per sempre le opere di uno
scrittore ingiustamente dimenticato.
- Il
tempo seppellisce quel che vuole e neanche se ne accorge – riprese lei -
Pensiamo di essere importanti, almeno per noi e i nostri cari, pensiamo
talvolta che quel che siamo e facciamo sia di una qualche utilità. Ma se così
fosse, il tempo ci rispetterebbe. Quale viandante camminerebbe calpestando oro
e gioielli per terra? Non suggerisce nulla la fretta indiavolata che mostra il
tempo, quando passa su statue celebrative, monumenti, costruzioni grandiose,
oppure fischia insieme al vento sui cimiteri, frantumando e polverizzando ossa
che in passato erano uomini e donne? Che cosa o chi ha mai rispettato lo
scorrere del tempo su questo meraviglioso pianeta?
- I
libri perpetuano la memoria e l’opera dei viventi, per esempio.
-
Certamente, se qualcuno mai li leggerà, o, potrei dire: li pubblicherà. O
fintanto che ci saranno occhi per leggere.
Vede, giovanotto, la sabbia rossa di Marte se ne infischia di chi popolò
quel pianeta, delle loro vite, dei pensieri, le opere, i sentimenti che hanno
espresso.
- Cosa
c’entra, ora, Marte? – domandai, con supponenza.
- La
vita sulla Terra è stata portata da lì. Erano i giorni nei quali la Luna non
girava ancora intorno al pianeta che ci ospita.
Beh, cosa ne sappiamo, noi, ora, di chi viveva su Marte allora? E pensa
che non esistessero statue, libri, palazzi e altro di bello e grandioso? Voi
date troppa importanza a quella strana contabilità che compone il sapere umano.
Sapere, poi, per modo di dire. Non sapete un bel nulla.
- Devo
confessarle che io non so se esista veramente, quel pianeta. – mormorai.
- Oh,
nemmeno io. Ma esiste nella nostra mente. Non basta? – rispose lei, di getto.
-
Comincio a temere di averla disturbata inutilmente. Potrà mai perdonarmi?
- È una
cosa che il tempo non potrà mai fare: perdonare. Siete saliti su una giostra
che va a ritmo di danza e vi meravigliate del moto della giostra, del ritmo e
persino della danza. Ah, poi, se qualcuno altera il meccanismo, non lo vedrete
mai. Intanto la ruota sotto la giostra gira e voi con lei. Di cosa potrete mai
lamentarvi?
Voltai i
tacchi, per compiere il viaggio a ritroso ma non trovai la strada per
tornare. Dietro di me, semplicemente,
non c’era nulla. Non potevo più muovermi e allora, naturalmente, mi svegliai.
Faticai
non poco a capire dov’ero e in quale tempo. La finestra era chiusa ma sentivo
ancora fischiare un vento gelido all’esterno.
L’orologio
segnava le ore venti. Avevo dunque dormito e sognato per quasi tre ore.
Mi
sciacquai il viso con acqua calda, cercando di scacciare le immagini di quel
sogno invadente, prima di uscire dalla mia stanza per scendere nella
saletta. Un silenzio innaturale mi
attendeva e mi sembrò subito strano.
Nella
hall, non vidi nessuno dietro il banco della reception. Entrai nella saletta,
dove il televisore era ancora acceso e rimandava le immagini di varietà degli
anni passati.
Chiamai
a voce alta la padrona dell’albergo e, senza che nessuno mi rispondesse, il
nome del fattorino.
L’albergo
sembrava deserto. Uscendo in strada, mi colpì la stessa assenza di ogni suono o
rumore. Le strade erano vuote, il cielo buio e senza stelle, e il selciato
risuonava soltanto dei miei passi. Non avendo indossato il giaccone, sentivo
freddo.
Lentamente,
alla luce dei lampioni, cominciai a scorgere alcune figure, più che altro
coppie di innamorati che camminavano vicini e si scambiavano effusioni. Vidi
tre coppie formate da un militare in divisa e ragazze evidentemente del luogo.
La bicicletta di un metronotte mi sfiorò appena, mentre guardavo in direzione
opposta. Ora sì che vedevo gente, sbucata da chissà dove, camminare intorno a
me.
Ero
circondato da molte persone, qualcuna vestita stranamente, fuori moda o
comunque con abiti molto vecchi. Vidi un signore con uno straordinario cappello
a cilindro, salutare con affetto una venditrice di fiori che si era seduta
all’angolo di due vie con un cesto variopinto… di fiori estivi. La ragazza
indossava un grande cappello di paglia e abiti leggeri, probabilmente di
cotone.
Se non
fuori moda, almeno fuori stagione.
- È
uscito per una passeggiata?
Era la
voce di Salbeni, alle mie spalle.
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