sabato 17 maggio 2025

Mondi sconosciuti o forse dimenticati

 Mi tormentava la figura di Salbeni, che non sapevo inquadrare e tantomeno giustificare in maniera razionale. Ma un fantasma non lo era, di certo.

Poteva trattarsi di un attempato burlone, con la mania della cultura e il vizio di fare scherzi. Tuttavia, il tono che usava era stranamente convincente e persino ipnotico. Riusciva a non farti pensare ad altro che alle sue parole. Un politico nato.

Scesi poco più tardi per attendere il fattorino che suonò il clacson verso le diciassette e quaranta. Andai verso l’uscita sul retro, dove da un cortile interno con accesso sulla strada, si effettuavano le operazioni di carico e scarico merci in comune con l’azienda manifatturiera che utilizzava la parte posteriore della palazzina.

Il tempo era notevolmente migliorato ma la sera era ormai calata. Spiegai al ragazzo dove volevo andare e lui mi fissò per un attimo dallo specchietto retrovisore.

- Sicuro di voler andare laggiù? Sono quattro case e poca gente… Va forse a trovare qualche parente?

- Un’amica, una vecchia amica.

Bofonchiando qualcosa che non compresi, il fattorino cominciò a guidare e dopo qualche minuto già eravamo davanti una bassa villetta quasi isolata nel bosco ma in realtà a pochi passi dalle altre abitazioni.  Secondo Salbeni, lì avrei trovato una cugina di secondo grado del mio scrittore preferito.

La località citata da Salbeni, Le Farine, dista circa due chilometri e mezzo da Viterbo, a 316 metri sul livello del mare, e conta poche decine di abitanti. È raggiungibile tramite la strada regionale numero due in pochi minuti.

Scesi dall’auto, chiudendo bene il giaccone pesante che indossavo; il freddo era intenso e una nebbia stranissima saliva dal suolo umido.

Bussai alla porta di legno dipinto di verde che senza altro movimento o tocco da parte mia, all’improvviso si spalancò, mostrando un incredibile giardino illuminato dalla luna.

Aiuole ben curate facevano da cornice a una fontana bianca senz’acqua, circondata da un vialetto circolare che sembrava procedere verso la luna, ora veramente grande, vicina, pallida più che mai.

La porta che avevo visto dava quindi su quel giardino e in fondo al vialetto, alla luce lunare, vidi una piccola costruzione circolare di un solo piano, con tre finestre e in mezzo una porta ad arco.

Pensai di vivere una sorta di allucinazione, eppure l’aria fredda mi faceva bruciare le guance e i miei passi su quel vialetto erano più che reali. Arrivato, dopo pochi metri, all’edificio non più grande di una tipica villetta, attraversai la porta ad arco, aperta, e vidi una signora seduta su una carrozzella per invalidi, intenta a fare la maglia, usando due ferri. Dentro il camino, accanto a lei, ardeva un bel fuoco di rami secchi, profumato da alcune bacche silvestri.

- Benvenuto nella mia capanna – sussurrò la vecchina, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro.

Guardai per un attimo l’arredamento di legno di quercia, molto scarno e ridotto all’essenziale: un tavolo e quattro sedie ed una credenza dall’altra parte della stanza.

- Buonasera. Chiedo scusa per il disturbo, ma… - All’improvviso mi resi conto che non avevo nulla da chiedere o da chiarire.

Era una situazione non convenzionale. Mi trovavo comunque in casa di una vecchia signora e pensai di dover mostrare il massimo rispetto.

- Fa freddo, lì fuori? – domandò lei.

- Oh, abbastanza. Ma qui vedo che il camino assicura un certo ristoro.

- In una serata come questa, venire in un posto come questo, deve costare non poca energia e non poca pazienza… - sentenziò, con voce querula.

Era evidente che mi stava prendendo in giro.

- Posso rivolgerle qualche domanda su Mario Signorelli?

La vecchia signora alzò finalmente gli occhi dal suo lavoro, ma io non li vidi. Dietro gli occhialini tondi, io non vidi i suoi occhi ma solo orbite vuote.

- Ma figliolo mio, il tempo non dà spiegazioni. Sarebbe come chiedere il motivo del perché le acque di un fiume scorrono, o perché il vento segue la sua strada dai monti alle pianure. Certe cose accadono e basta; così come certe persone nascono, vivono, muoiono, e basta.

- Ehm, devo arguire che non vuole parlare di questo, suo, concittadino? Posso sapere il motivo?

La vecchina tornò a concentrarsi sul suo lavoro a maglia.

- Era uno dei tanti. Siete così interessati ai vostri simili, sempre intenti a scrivere memorie, biografie, resoconti, come se il vostro destino dipenda veramente dalle azioni che concepite e che poi eseguite… Vi rivoltate all’interno delle vostre comunità, come i vermi si rivoltano nella melma. Ponete le vostre brevi, tremule vite, in perenne confronto con le altre come se davvero possa importare a qualcuno o a qualcosa tutto questo tramestio. Molto rumore per nulla disse uno di voi che mi pensava spesso.

- Capisco. Ma devo portare a termine un lavoro – cercai di giustificarmi – volto, essenzialmente, ad evitare che il tempo seppellisca per sempre le opere di uno scrittore ingiustamente dimenticato.

- Il tempo seppellisce quel che vuole e neanche se ne accorge – riprese lei - Pensiamo di essere importanti, almeno per noi e i nostri cari, pensiamo talvolta che quel che siamo e facciamo sia di una qualche utilità. Ma se così fosse, il tempo ci rispetterebbe. Quale viandante camminerebbe calpestando oro e gioielli per terra? Non suggerisce nulla la fretta indiavolata che mostra il tempo, quando passa su statue celebrative, monumenti, costruzioni grandiose, oppure fischia insieme al vento sui cimiteri, frantumando e polverizzando ossa che in passato erano uomini e donne? Che cosa o chi ha mai rispettato lo scorrere del tempo su questo meraviglioso pianeta?

- I libri perpetuano la memoria e l’opera dei viventi, per esempio.

- Certamente, se qualcuno mai li leggerà, o, potrei dire: li pubblicherà. O fintanto che ci saranno occhi per leggere.  Vede, giovanotto, la sabbia rossa di Marte se ne infischia di chi popolò quel pianeta, delle loro vite, dei pensieri, le opere, i sentimenti che hanno espresso.

- Cosa c’entra, ora, Marte? – domandai, con supponenza.

- La vita sulla Terra è stata portata da lì. Erano i giorni nei quali la Luna non girava ancora intorno al pianeta che ci ospita.  Beh, cosa ne sappiamo, noi, ora, di chi viveva su Marte allora? E pensa che non esistessero statue, libri, palazzi e altro di bello e grandioso? Voi date troppa importanza a quella strana contabilità che compone il sapere umano. Sapere, poi, per modo di dire. Non sapete un bel nulla. 

- Devo confessarle che io non so se esista veramente, quel pianeta. – mormorai.

- Oh, nemmeno io. Ma esiste nella nostra mente. Non basta? – rispose lei, di getto.

- Comincio a temere di averla disturbata inutilmente. Potrà mai perdonarmi?

- È una cosa che il tempo non potrà mai fare: perdonare. Siete saliti su una giostra che va a ritmo di danza e vi meravigliate del moto della giostra, del ritmo e persino della danza. Ah, poi, se qualcuno altera il meccanismo, non lo vedrete mai. Intanto la ruota sotto la giostra gira e voi con lei. Di cosa potrete mai lamentarvi?

Voltai i tacchi, per compiere il viaggio a ritroso ma non trovai la strada per tornare.  Dietro di me, semplicemente, non c’era nulla. Non potevo più muovermi e allora, naturalmente, mi svegliai.

Faticai non poco a capire dov’ero e in quale tempo. La finestra era chiusa ma sentivo ancora fischiare un vento gelido all’esterno.

L’orologio segnava le ore venti. Avevo dunque dormito e sognato per quasi tre ore.

Mi sciacquai il viso con acqua calda, cercando di scacciare le immagini di quel sogno invadente, prima di uscire dalla mia stanza per scendere nella saletta.  Un silenzio innaturale mi attendeva e mi sembrò subito strano.

Nella hall, non vidi nessuno dietro il banco della reception. Entrai nella saletta, dove il televisore era ancora acceso e rimandava le immagini di varietà degli anni passati.

Chiamai a voce alta la padrona dell’albergo e, senza che nessuno mi rispondesse, il nome del fattorino.

L’albergo sembrava deserto. Uscendo in strada, mi colpì la stessa assenza di ogni suono o rumore. Le strade erano vuote, il cielo buio e senza stelle, e il selciato risuonava soltanto dei miei passi. Non avendo indossato il giaccone, sentivo freddo. 

Lentamente, alla luce dei lampioni, cominciai a scorgere alcune figure, più che altro coppie di innamorati che camminavano vicini e si scambiavano effusioni. Vidi tre coppie formate da un militare in divisa e ragazze evidentemente del luogo. La bicicletta di un metronotte mi sfiorò appena, mentre guardavo in direzione opposta. Ora sì che vedevo gente, sbucata da chissà dove, camminare intorno a me.

Ero circondato da molte persone, qualcuna vestita stranamente, fuori moda o comunque con abiti molto vecchi. Vidi un signore con uno straordinario cappello a cilindro, salutare con affetto una venditrice di fiori che si era seduta all’angolo di due vie con un cesto variopinto… di fiori estivi. La ragazza indossava un grande cappello di paglia e abiti leggeri, probabilmente di cotone.

Se non fuori moda, almeno fuori stagione. 

- È uscito per una passeggiata? 

Era la voce di Salbeni, alle mie spalle.

Mi voltai e lo vidi con la consueta espressione bonaria e il solito completo marrone. 

estratto da BAGLIORI SUL BULICAME



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