Negli ultimi giorni di
gennaio 2018, la mail di un amico m’incuriosì non poco. Si trattava, in realtà,
di persona conosciuta durante una gita a Viterbo, città dove avevo ambientato
l’ultimo romanzo: una storia incentrata sulla ricerca letteraria riguardo le
opere di Mario Signorelli, medium e archeologo scomparso nel 1990.
Questa persona, che
indicherò con il suo nome di battesimo, Carlo, mi raccontò di conoscere uno
strano personaggio che pensava potesse ispirare la mia attività di scrittore.
Si trattava di un ex contadino e artigiano del legno, ormai sessantenne, che in
quel periodo affermava di vagare senza una meta precisa, tra Abruzzo e Lazio,
dicendo di doversi proteggere dai nemici di certi personaggi non di questa
Terra che lo avevano più volte contattato ed anche prelevato… In pratica, la
vittima di una cosiddetta abduction.
Carlo mi offrì d’incontrarlo
dopo due giorni, visto che aveva stabilito un appuntamento con questo personaggio,
che chiamerò “B” a causa dell’esigenza di assicurargli ovvia protezione, per incontrarsi
a Viterbo.
Il luogo dell’appuntamento
era una trattoria presso il centro del capoluogo della Tuscia. Carlo, un
giornalista di un periodico locale, ed io, avremmo potuto parlare con B., che
cercava conforto e protezione in maniera che sulle prime non potevo comprendere.
La curiosità, più che
l’interesse professionale, fu tale che decisi di partecipare a quella cena e
una sera del 27 gennaio, ero seduto con questi signori nella trattoria luogo
dell’appuntamento.
B. entrò nel locale,
discretamente affollato, alle venti e quindici minuti. Fuori, il tempo non era
certo clemente e l’uomo, alto circa un metro e sessanta, con la pelle cotta dal
sole, indossava una pesante giacca a vento, un paio di jeans e un berretto di
lana azzurra che gli copriva interamente la fronte.
Riconobbe subito Carlo e si
affrettò a sedersi sull’unica sedia libera del tavolo da quattro che
occupavamo. Si liberò della giacca e del berretto e, senza presentarsi, afferrò
la brocca di vino rosso che avevamo ordinato versandosi un bicchiere colmo del
liquido color rubino che scolò in un attimo.
- Chi sono? – chiese, senza
tanti preamboli al mio amico, l’unica persona che già conosceva, dopo essersi
pulita la bocca con il dorso della mano destra.
- Persone fidate – rispose
Carlo – Un giornalista di qui e uno scrittore che abita a Roma.
L’uomo fece una smorfia –
Perché me li presenti? Che cosa vogliono sapere da me? – In quel momento
sembrava discretamente agitato.
In precedenza, Carlo ci aveva
spiegato come B. conducesse ormai una vita da nomade, senza fissa dimora e
ovviamente senza poter svolgere altro che qualche lavoretto saltuario per
sopravvivere.
In effetti, i suoi occhi
color grigio-verde si spostavano di frequente tra noi tre, come se cercasse di
decidere se potevamo costituire un pericolo, o almeno un problema.
Carlo lo calmò subito,
spiegando che noi due ci occupavamo d’informazione e quindi potevamo essere
comunque di qualche aiuto. Aggiunse che il giornalista viterbese avrebbe pagato
qualche euro per un’intervista anche se in forma anonima.
B. assentì vigorosamente –
Non saprete mai il mio nome. Nessuno deve saperlo. Lo voglio dimenticare
anch’io.
Non aveva un accento
particolarmente caratteristico della Tuscia. Anzi, avrei giurato che fosse
originario della Sardegna.
- Caro signore – intervenni
– mi pare di capire che qualcuno, o qualcosa, la stia minacciando. Ci può
accennare chi, o cosa, teme in particolare?
B. mi fissò solo per un
istante. Si versò un altro bicchiere di vino, lo tracannò senza nemmeno
pensarci su e sospirando, rispose:
- Non mi crederebbe nessuno,
tranne lui – accennò con la mano destra verso Carlo – L’unico che mi ha creduto
finora…
Il giornalista, un tipo
asciutto con capelli e baffi brizzolati, accese un registratore portatile,
posandolo sul tavolo. B lo guardò ma non fece obiezioni e riprese, più calmo:
- Vi dico subito che si
tratta di alieni, i peggiori. – disse, guardandosi un attimo intorno.
Nella trattoria, gli altri
nove tavoli erano affollati da commensali allegri e chiassosi. Gente comune, un
paio di famigliole che cenavano tranquillamente, gettando ogni tanto uno
sguardo alla televisione che gracchiava dal fondo della sala, esattamente dall’altro
lato dell’entrata. Apparentemente, nessuno faceva caso a noi, tantomeno le due
giovani cameriere che si aggiravano tra cucina e tavoli.
B. si era fermato a
giudicare le nostre espressioni. Era consapevole che le sue parole avrebbero
prodotto in noi un certo scetticismo. Carlo, che conservava nei suoi confronti
un atteggiamento esageratamente protettivo, chiarì subito:
- Aspettate a giudicare.
Purtroppo, ha prodotto delle prove riguardo quel che potrà dirvi tra poco.
Il giornalista era
d’accordo:
- Sono qui apposta. Non
abbia paura e ci descriva chi o cosa la sta inseguendo, oppure chi o cosa la
minaccia…
B. sorrise stranamente –
Apparentemente, nessuno. Avevo solo sei anni quando li vidi, per la prima
volta, e non capii certo chi fossero. Dormivo poco lontano da qui, con i miei
genitori, entrambi contadini. I campi erano a un chilometro e qualcosa fuori
Viterbo. Scambiai gli esseri per personaggi da favole. Sembravano uomini-drago.
Li vidi nel buio e mi parlarono con voci umane anche se leggermente cavernose,
svegliandomi. Dissero che mi avrebbero portato con loro, in un viaggio fra le
nuvole, per poi riportarmi a casa. Io avevo paura, ma non ricordo più nulla di
quel che accadde dopo.
estratto dal romanzo LA TERRA INVASA DAI RETTILI
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